I libri di Patrizia Boi

lunedì 21 luglio 2014

La Regista Teatrale: Barbara Petrucci


Intervista a Barbara Petrucci

Dal Teatro Scuola al Teatro Sociale

La Compagnia Diesis Teatrango
Barbara Petrucci, attrice e regista teatrale, è uno dei tre Direttori Artistici – insieme a Piero Cherici e Moreno Betti – della Compagnia Diesis Teatrango con sede a Bucine e residenza artistica nel Teatro Comunale di Bucine in Provincia di Arezzo. Si tratta di una cooperativa, fondata nel 1992 come Associazione Culturale, tra i fondatori delle Rete Teatrale Aretina – Provincia di Arezzo e del TTC – Consorzio toscano cooperative culturali e turistiche, che si occupa di formazione, ricerca e creazione teatrale spaziando dal Teatro Scuola al Teatro Sociale e alla formazione dell’attore attraverso la Scuola di Teatro. L’abbiamo intervistata al Teatro di Bucine in una pausa di lavoro durante le prove.
Come nasce l’idea di un Teatro Sociale?
Nasce per caso, come le opere di Shakespeare. Mi occupavo di formazione teatrale in vari contesti di aggregazione sociale, scolastici ed extrascolastici, e sono stata chiamata da una cooperativa sociale di Arezzo per organizzare uno spettacolo con gli utenti e gli operatori di un centro diurno nell’ambito di un progetto finanziato dalla Comunità europea. Mi sono trovata di fronte a una cosa sconosciuta, avevo davanti a me una trentina di disabili gravi con i quali dover realizzare una produzione artistica. È emersa subito la necessità di scegliere un tema che potesse essere compreso a un livello elementare, per cui è nata l’idea di agire intorno a una storia molto nota:Pinocchio. Da qui, lavorando attraverso specifiche tecniche di improvvisazione teatrale, è stato creato uno spettacolo di teatro e musica di grosso impatto sul pubblico, Pinocchio e la Sua Banda. L’elemento fortissimo da rilevare durante la presentazione della performance è stato la condivisione di un’emozione intensa di gioia tra il pubblico e gli attori. Era quindi possibile un processo maieutico di ricerca artistica che poteva far emergere dalla persona la sua teatralità innata, stimolando il suo processo di cura e quindi di guarigione. Questo divenne il progetto pilota di tutta una sperimentazione artistica successiva.
Come siete riusciti a creare un rapporto tra il linguaggio teatrale, le istituzioni, le associazioni e la cittadinanza?
Abbiamo fatto passare il concetto che la formazione teatrale poteva essere anche un mezzo per educare alla comunicazione e al benessere la comunità, cioè che il teatro poteva avere un valore sociale non solo attraverso la fruizione dello spettacolo, ma nella formazione stessa dell’attore in senso lato, tant’è che parliamo di pedagogia teatrale.
In che modo il progetto culturale è stato calato nel territorio aretino e nell’ambiente socio-culturale del Comune di Bucine?
Nell’ambiente aretino abbiamo trovato nel momento in cui nacque l’idea, cioè alla fine degli anni Novanta, un territorio socialmente molto sensibile e molto strutturato a livello di servizi sociali e di interazione tra istituzioni, enti, associazioni e fruitori. La provincia aretina ha cercato e creduto in una cultura di rete e di progettazione di sistema. Già oggi questa realtà sta cambiando… Bucine, dal canto suo, come tanti piccoli luoghi del territorio, ha ristrutturato il vecchio teatro del paese, quello in cui si andava prima dell’avvento della televisione. Grazie all’unione delle compagnie teatrali professionali delle vallate aretine, è stato possibile organizzare, in collegamento con altri piccoli teatri, una struttura associativa coordinata che oggi è diventata, con il sostegno e la progettazione della Regione Toscana, un sistema di multi-residenza artistica.
Come è stato possibile effettuare una scrittura collettiva e una scrittura scenica di un’opera teatrale?
La creazione avviene attraverso l’improvvisazione teatrale per cui ogni attore è anche autore, recita cioè una parte attiva. Scegliendo un tema, intorno all’argomento ognuno si attiva portando il proprio contributo e realizzando quindi quella che possiamo chiamare scrittura scenica collettiva… È chiaro che resta il ruolo del regista-autore che seleziona il materiale e lo sceglie in base a un filo narrativo che si scopre strada facendo…
Nel laboratorio permanente di Teatro Sociale come si attua la riabilitazione psicofisica e i processi educativi della scuola?
Il laboratorio permanente prevede che vengano inserite nel gruppo solo persone con particolari talenti, che abbiano cioè una predisposizione per la musica, il teatro o le arti figurative. Quindi i prescelti lavorano con attori professionisti e giovani attori in formazione, al di là delle loro disabilità, facendo un percorso di approfondimento su alcune discipline specifiche, tipo teatro-danza, canto, educazione ritmica, ecc.
In che modo si effettua a teatro l’integrazione delle differenze di razza, di genere e dei soggetti diversamente abili?
È l’aspetto più difficile da attuare. La realizzazione dell’integrazione di fatto è molto rara, per quanto di tale concetto ci sia uso comune e diffuso, bisogna fare molta attenzione a non darlo per scontato… Succede spesso ed è molto facile fare inclusione di persone “diverse”; è molto più difficile creare una cultura della differenza. Quando questo accade si assiste a una cosa straordinaria dove ognuno diventa maestro dell’altro. Se in un gruppo di disabili ci sono pochi normodotati la minoranza soffre. Le differenze non si accettano facilmente. Eppure sono una risorsa umana e artistica incredibile. Facciamo un esempio: se un normodotato deve fare un'improvvisazione teatrale con uno spastico grave che non ha l’uso della parola, non è solo lo spastico che trova difficoltà, ma anche il normodotato: infatti si trova a dover interagire in maniera diversa dal solito, magari ponendo più attenzione sulla comunicazione non verbale di cui ha minore conoscenza. Trovandosi di fronte a qualcosa di mancante, c’è la possibilità di attingere a risorse nuove e imprevedibili, che non siamo abituati a usare e che quindi non abbiamo perfezionato… C’è anche un altro aspetto: il normodotato è molto meno libero e disponibile, più imbrigliato negli schemi e meno abituato a stare nel qui e ora. In certe disabilità c’è un’autenticità nella presenza e nella relazione con l’altro e con lo spazio intorno, una capacità sensoriale e istintiva nel rapportarsi con la realtà che è immediatamente “drammaturgia”, cioè scrittura teatrale.
Il Teatro è visto come centro di socializzazione per favorire le relazioni e sviluppare la forza immaginativa: è quindi il luogo del “Prezioso spreco” dell’energia creativa?
Non c’è teatro senza relazione, non c’è teatro senza immaginazione. Il teatro nasce dalla espressione umana e si inventa le storie. È molto più importante per noi evocare che non rappresentare, anche per un’attenzione più attiva e creativa nello spettatore. Il nostro è un teatro minimalista, cerca di stimolare attore e spettatore attraverso l’ immaginazione. Si tratta di un’azione che suggerisce, rendendo visibile l’invisibile...
Il tuo lavoro è quindi quello di integrare un livello formativo, educativo e artistico?
Essenzialmente, per l’appunto: infatti questo tipo di formazione è sperimentale, è ricerca artistica...
Narrazione, danza, voce, canto, improvvisazione: come attui con i bambini lo sviluppo di queste capacità?
Attingendo sempre alla loro teatralità innata…
Come riesci a rendere i giovani consapevoli del proprio corpo e delle proprie emozioni?
Lavorando tanto sulla comunicazione non verbale, dando molto più spazio a questo aspetto e talvolta sospendendo del tutto il linguaggio verbale. E quando si va a esprimersi con il corpo in maniera profonda emergono le emozioni…
Il Teatro può fornire anche un’offerta di professionalizzazione per l’inserimento dei giovani e dei diversamente abili nel mondo del lavoro?
Sì, noi abbiamo avuto esperienza di terapia occupazionale. Ora, per esempio, un ragazzo down lavora con noi come attore con un regolare contratto di assunzione Empals. Facendo evolvere la persona, la si apre all’inserimento anche in altre realtà stimolando l’autostima, la sicurezza e l’autonomia...
In queste accezioni in cui voi porgete la vostra proposta culturale, quanto ci si apre a nuovi immaginari, a nuove possibilità di convivenza e di organizzazione sociale e culturale?
L'ideale ultimo è quello di un nuovo umanesimo in cui si cambi completamente il sistema di relazione, che rispetti i tempi e le caratteristiche di ognuno, non più corse col tempo e omologazione continua di tutto e di tutti, ma investimento sulla diversità e sulla lentezza che possa diventare intensità ed essenza… A noi interessa recuperare il senso del tempo per poter godere di quella dimensione del tempo senza tempo che rende il teatro sciamanico…
Dal momento che il vostro lavoro è teso a integrare le differenze etniche e le identità di genere, può diventare un’occasione di affermazione dei diritti, quindi assumere un ruolo quasi politico?
Lo stiamo facendo attraverso i progetti d'inserimento di tutte le persone con fragilità e disagio psico-fisico e sociale dalle quali, spesso, molti di noi hanno da imparare… Questa società privilegia le prestazioni standardizzate mentre possono emergere dai diversi delle altre potenzialità e aperture verso una società più ricca e creativa, quindi più sana…
Adolescenti, matti, anziani, disabili, stranieri: uno spazio per tutti e per tutte le età?
Assolutamente, sì, senza limiti…
Come si differenzia il tuo modo di fare teatro quando lo affronti sotto l’aspetto pedagogico o di rappresentazione?
Il filo è sottile, impercettibile. Se faccio uno spettacolo con un attore professionista l’aspetto pedagogico c’è sempre, ma prende il sopravvento il senso e il significato della storia e quello che culturalmente voglio comunicare allo spettatore – per quanto anche l’attore professionista approfondisca se stesso nell’esplorazione che si fa durante la creazione – mentre nel teatro pedagogico interessa fondamentalmente il processo evolutivo della persona...
Quanto è importante la messa in scena nel teatro di rappresentazione? Quanto il connubio tra recitazione, movimento, danza e musica?
Tutte le arti entrano in gioco: noi abbiamo un progetto “Officina delle arti sociali” di integrazione tra tutte le arti. Innanzitutto non usiamo scenografie ma elementi scenici al servizio dell’attore – una sedia, un baule, degli strumenti musicali – in modo da non ingabbiare la fantasia; in secondo luogo ci serviamo della musica dal vivo per ottenere una maggiore libertà. Insomma utilizziamo i musicisti attori, la musica dal vivo è un altro personaggio, così come il segno grafico è un altro modo per esprimersi, e lo stesso vale per la danza, il canto… Il teatro alle origini nasce così...
Ti sei occupata in questi ultimi anni della follia attraverso Shakespeare: folli, buffoni, appassionati, tragici cantastorie… Qual è il valore aggiunto del folle a teatro?
La creatività, la rottura degli schemi, l’imprevedibilità… E poi tra la normalità imperante e la follia, preferisco la libertà…
Hai rappresentato anche lo spettacolo Amaramore dove il tema sociale è chiarito dal sottotitoloL’invecchiamento non è un processo che porta inabilità: come è stato accolto questo spettacolo dagli anziani? E dai più giovani?
Lo spettacolo con musica dal vivo, scritto, diretto e interpretato dall’attrice Carlina Torta è piaciuto tanto sia ai più anziani sia ai più giovani. I primi si identificavano facilmente nella protagonista, e poi era stimolante il modo in cui era affrontato il tema della morte, direi senza tabù.
Come è nata l’esperienza “Lo Spazio Fantastico” del Teatro, cioè dei bambini e ragazzi, finalizzato alla scoperta del “mondo magico” della fantasia e della creatività?
Si tratta di progetti che facciamo dagli anni Novanta all’interno della scuola, in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Negli ultimi anni persino negli asili nido. La nostra compagnia lavora da molto tempo sulla creatività dei bambini, attraverso il racconto di fiabe, favole, leggende…
Quanto investi sulla drammaturgia dell’attore nella doppia veste di attrice e regista?
Ci investo sia quando faccio l’attrice sia quando faccio la regia, perché è un aspetto fondamentale. Non esiste solo il testo teatrale composto dall’autore, ma il sottotesto dell’attore e del regista sono indispensabili a darne una interpretazione che lo renda vero e credibile.
Ti sei occupata dell’aspetto terapeutico della danza portato in scena come regista nello spettacolo Il curatore, tagliatore di barbe e capelli. Storie di tarantate: sei partita dagli studi di Ernesto De Martino su La Terra del Rimorso?
Da De Martino e dal Diario Manoscritto di Luigi Stifani, barbiere pugliese e uno dei più noti musicoterapeuti dei riti delle tarantate del Salento. Il protagonista detto “maestro Gigi” aveva appuntato anche gli spartiti, naturalmente codificati a suo modo, alla maniera dei musicanti. Lui suonava il violino e la musica da lui composta curava le donne – e talvolta gli uomini – morsi dalla taranta. Lo spettacolo iniziava con le immagini del video autentico di Ernesto De Martino che guidavano magicamente dentro la scena abitata da un musicista, polistrumentista e dagli attori: un uomo e una donna al contempo narratori, personaggi, e simboli delle storie raccontate.. Tutto lo spettacolo era basato su un unico elemento di scena: una grande altalena centrale che si trasformava, di volta in volta, in Barberia, in processione di San Paolo di Galatina, ecc… Lo spettacolo è una coproduzione Diesis-Teatrango e Musicanti del Piccolo Borgo e hanno collaborato per lo studio dei movimenti degli attori Ivan Truol e Patrizia Cavola direttori della compagnia di Teatro-Danza di Roma Atacama.
Il ballo e il racconto sono una peculiarità del Teatro di Bucine che storicamente nasce, infatti, come sala da ballo. Quanto il ballo è un atto liberatorio per chi lo danza e quanto per lo spettatore che lo fruisce a teatro?
Per chi lo danza senza dubbio, per chi lo fruisce a teatro occorre trovare il modo di coinvolgerlo altrimenti chi guarda altri che ballano si annoia. Noi abbiamo lavorato sul ballo come spettacolo teatrale trovando i principi di relazione che legano l’essere umano al ballo.
Il tuo ultimo lavoro da regista s’intitola Il soldato. Storia di un eroe senza coraggio: il soldato è un uomo senza volto, è la voce di quella moltitudine di persone che hanno sofferto la fame, l’umiliazione e la prigionia. Come hai evidenziato l’individualità del soldato in un meccanismo di guerra che generalmente rende gli uomini tutti uguali spersonalizzandoli?
Recuperando tutta la parte degli affetti, dei sentimenti, delle emozioni, dell’attaccamento alla vita, della natura umana sotto la divisa… Lo spettacolo racconta l’esperienza della resistenza dell’esercito italiano nelle isole greche di Cefalonia e Corfù durante la Seconda guerra mondiale prima e dopo l’8 settembre sotto il governo Badoglio. Mi ha colpito quello che ha detto una bambina dopo lo spettacolo: “Questo spettacolo mi ha insegnato che nella vita non bisogna arrendersi mai…”. Eppure, in maniera a volte ironica, contro ogni retorica eroica, si fa riferimento a emozioni forti come paura, dolore, sofferenza, smarrimento, dentro un’esperienza assurda come la guerra.
So che a breve ti occuperai di una fiaba olfattiva da rappresentare a teatro, un viaggio ulissico al femminile stimolato da aromi, profumi e fragranze: con quale escamotage rappresenterai l’ineffabilità dell’odore sul palcoscenico?
Ancora è un mistero anche per me… è da scoprire sul palco dentro il gioco fantastico dell’improvvisazione teatrale.
Su quale altra passione potresti investire le tue energie al di là del teatro?
Vorrei fare la sciamana in Africa, sempre di cura si tratta, non so se per gli altri o per me stessa…
E così in una società persa dietro a un’esistenza fatta di corse, di consumo, di trilli di telefoni, fatta di perfezione, di tecnicismo e di omologazione, Barbara, invece, è immersa nella sua dimensione, dove tutte le diversità hanno il potere di insegnarci qualcosa, dove il disabile grave o l’incapace a parlare ci fa scoprire un mondo lontano, dimenticato, tralasciato… La magia del Teatro diventa il modo per arricchire la nostra società con un talento che non ci era mai venuto in mente, diviene un sistema per lavorare sulla creatività facendo emergere da ognuno di noi quella parte nascosta che si avvicina maggiormente all’essenza… Da tutti noi e non solo da coloro che, purtroppo o per fortuna, sono più facilmente inseriti…
Il prossimo appuntamento è per il 19 Agosto.