I libri di Patrizia Boi

sabato 6 febbraio 2016

Paolo Fresu al QUIRINALE in DUO con Daniele Di Bonaventura

http://tottusinpari.blog.tiscali.it/2016/02/04/il-piccolo-sardo-che-stupisce-il-mondo-il-sound-di-paolo-fresu-al-quirinale-per-i-%E2%80%9Cconcerti-alla-cappella-paolina%E2%80%9D/#more-42401



ph: Daniele di Bonaventura e Paolo Fresu
di Patrizia Boi

Il trombettista sardo Paolo Fresu si è esibito al Palazzo del Quirinale nell’ambito del programma dei Concerti alla Cappella Paolina, la grande cappella di palazzo che riveste la stessa funzione della Sistina in Vaticano e che per questo ne rispecchia le stesse caratteristiche architettoniche e proporzionali.
Il Duo Paolo Fresu (tromba e flicorno) e Daniele di Bonaventura (bandoneòn), ha dato luogo al concerto “In Maggiore”,  trasmesso in diretta su Radio 3 in collaborazione con Rai Quirinale.
In Maggiore” è il titolo del CD inciso dal duo nel 2015, colonna sonora del film documentario  del regista Fabrizio FerraroQuando dal cielo…, un dialogo musicale tra i due artisti “in un equilibrio  giocoso tra spartiti e improvvisazione”, una conversazione tra  due musicisti  “concentrati a fondere i loro strumenti e le loro personalità” nel linguaggio delle note che risuonano in un teatro “vuoto come una conchiglia di sabbia”.
Si sono susseguiti brani originali di entrambi i musicisti, un’aria tratta da “La Bohéme” di Puccini, canzoni Latinoamericane di autori come il cileno Victor Jara, il brasiliano Chico Buarque, l’uruguayano Jaime Roos, oltre a musiche di origine liturgica e a canzoni del repertorio italiano.
La tromba di Paolo e il bandoneòn di Fabrizio – una specie di fisarmonica inventata dal musicista tedesco Heinrich Band (1821-1860) come strumento per la musica sacra per l’accompagnamento dei canti durante le processioni – conversano evocando immagini visive in un tumulto di emozioni che si comprimono e si espandono come il mantice dello strumento di Fabrizio al premere dei tasti e si innalzano al cielo ogni volta che la figura esile e snella di Paolo si piega in avanti e si lascia andare all’indietro seguendo il profilo del suono, creando una scenografia dove il suo corpo ruota e si flette ai limiti dell’instabilità e comunque sempre assai stabile.
Flessibile sul palcoscenico, quindi, così come nel teatro della vita, anche lì sempre stabile nel suo successo, Paolo Fresu, si accompagna al bandoneòn di Fabrizio di Bonaventura, cambiando continuamente ruolo e relazione, dando il senso di una esplorazione – come è solito fare nei suoi incontri musicali – che sembra sempre aperta ad altri giochi di nuove possibili tappe.
Il nostro trombettista, infatti, ha reso Berchidda nota in tutto il mondo proprio grazie alle sue originali esplorazioni messe in atto durante il Festival Time in Jazz, nato nel 1988 dalla sua passione e dal suo estro. Si tratta di uno degli appuntamenti più apprezzati nel panorama nazionale della musica dal vivo… Ogni edizione ruota intorno a un tema differente, che caratterizza il suo cartellone: nell’estate 2015 la 28° edizione era intitolata “Ali”.  
Gli appassionati di Jazz conoscono la fama di Fresu, i suoi successi nazionali e internazionali, i suoi 350 dischi, i suoi 3.000 concerti, i numerosi premi conquistati, i suoi virtuosismi e l’eleganza del suo suono e per questo lo amano e ne divorano le musiche.
Paolo ha messo le Ali al suo strumento fin da piccolo, iniziando a undici anni nella banda del paese, transitando attraverso il Conservatorio di Sassari e poi di Cagliari, per prendere inaspettatamente la strada del Jazz perché gli «dava l’opportunità, senza parlare troppo, di suonare uno strumento notoriamente chiassoso, in modo esattamente contrario», un modo che, come lui stesso dichiara, ha appreso da Miles Davis e Chet Baker.
La disponibilità  di Fresu a collaborare con gli altri artisti con classe e stile e a mantenere vivi i rapporti avviati, gli ha consentito di suonare in quintetto con gli stessi musicisti da più di trent’anni. Lui alla tromba, Tino Tracanna al sax, Roberto Cipelli al  pianoforte, Attilio Zanchi al contrabbasso, Ettore Fioravanti alle percussioni, sono cinque compagni di viaggio con cui ha condiviso tutto il suo percorso artistico.
Nel 1990 ha iniziato anche la collaborazione con Furio di Castri formando prima il duo Fresu- Di Castri e nel 1995 il trio P.A.F. (Fresu tromba e flicorno, Salis pianoforte e fisarmonica, Di Castri contrabasso) inserendo nel trio un altro sardo, Antonello Salis, un musicista appassionato e originale che passa dal pianoforte alla fisarmonica con semplicità integrando due strumenti apparentemente molto diversi.
Nel campo Jazz ha collaborato e collabora  con musicisti d’eccezione come Trilok Gurtu, Omar Sosa, Richard Galliano e tanti altri, ma come lui stesso dichiara: «Davis è stato il musicista che ho incontrato per primo ed è stato comunque il musicista che mi ha accompagnato e che tuttora continua ad accompagnarmi nel mio percorso artistico».
Paolo combina talenti musicali, è coinvolto in progetti di vario genere:  attori, danzatori, pittori, scultori, poeti, ecc. entrano ed escono dalla sua vita continuamente. 
A un grande regista ormai scomparso e al suo talento poetico nel raccontare l’uomo ha dedicato un brano,  “Fellini”,  che ha interpretato in 24 versioni e che lo accompagna come fosse un vecchio amico. Forse per via del sottotitolo “Elogio della lentezza” che gli rammenta concetti come 
ozio creativo, lentezza, intensità, essenza, che giocano un ruolo determinante nella tua esistenza quotidiana.
Paolo, nella sua silenziosa lentezza spesso partecipa anche a progetti cinematografici scrivendo musiche per film, documentari, video e collabora  frequentemente con il regista Gianfranco Cabiddu con il quale ha vissuto :  l’esperienza diPassaggi di tempo – Il viaggio di Sonos ’e memoria nel 2005, un altro interessante capitolo dedicato alla magia della sua Isola.
In questo film ha condiviso l’esperienza musicale, tra gli altri, con il suonatore di Launeddas Luigi Lai che ormai è diventato un’assidua presenza per il Time in Jazz.
Paolo è talmente innamorato della sua terra che ha inserito nel Time in Jazz la tradizionale e antica Gara fra i poeti improvvisatori, ossia la base della poesia sarda.
È stato protagonista, anche, dei dialoghi girati per la Rai da Gianfranco Cabiddu dal titolo: “Arrejonos (ragionamenti) tra  padre e figlio: Lillino e Paolo Fresu”
Lillino era un uomo (scomparso ultranovantenne quest’estate) che ha provato tutti i mestieri della campagna, dai faticosi lavori come bogadore di sughero e come operaio a giornata, al contadino, al pastore, una presenza fondamentale nella formazione di Paolo.
Nel 2010 Fresu ha aperto la sua etichetta discografica T?k Music  attraverso la quale sta facendo un lavoro di “promozione” nei confronti di molti giovani dell’entourage jazzistico contemporaneo, un progetto che intende guardare avanti” .
Su invito di Antonietta Chironi, ha coordinato, del resto, dal 1989 al 2013 i Seminari Nuoro Jazz per l’Ente Musicale di Nuoro, una delle realtà più prestigiose ed innovative nel campo della didattica del jazz in Italia. 
Fresu ha girato insieme a Gianfranco Cabiddu il documentario “Faber in Sardegna“, dedicato a Fabrizio De Andrè, presentato a Roma in anteprima assoluta lo scorso novembre con un appassionante omaggio musicale – alla presenza di Dori Ghezzi e Cristiano De Andrè – ,   insieme alle coinvolgenti Rita Marcotulli e Maria Pia De Vito.  All’Agnata – in gallurese “agnata” significa “angolo riparato dai venti” -, la residenza alle pendici del Limbara che De André aveva in Sardegna, ogni anno, infatti, si svolge una suggestiva tappa del Time in Jazz.

Nel 2011 Paolo Fresu ha festeggiato i suoi «50 anni suonati», con 50 concerti, in 50 giorni consecutivi, con 50 formazioni e progetti, diversi di giorno in giorno in 50 capolavori paesaggistici della sua Sardegna: un’esistenza «tutta d’un fiato!».
Un tempo vissuto intensamente come emerge nel film documentario “365 Paolo Fresu, il tempo di un viaggio” del regista Roberto Minini-Meròt di cui Paolo è stato protagonista nel 2014.
Stavolta nelle sue peregrinazioni ulissiche da un luogo all’altro, ha incontrato il marchigiano Daniele di Bonaventura, pianista e bandoneonista, compositore e arrangiatore, il cui estro spazia dalla musica classica a quella contemporanea, dal Jazz al tango e alla musica etnica, con incursioni nel mondo del teatro, del cinema e della danza. Di Bonaventura ha collaborato con registi del calibro di Ermanno Olmi (2014) per la colonna sonora del film Torneranno i prati e ha pubblicato più di 50 dischi, molti dei quali hanno ricevuto premi della critica internazionale.
La sua intensa collaborazione con Paolo Fresu ha fatto nascere l’album Mistico Mediterraneo e un disco doppio intitolatoNadir, nella doppia veste di pianista e bandoneista.
La sperimentazione alimenta l’attività e la vita di Paolo, lui esamina tutti le composizioni del suono, sperimenta lo spettro sonoro, le sue frequenze fondamentali, le sue armoniche, l’intensità del suono. E se chiudete gli occhi durante i suoi concerti, avrete la sensazione di elevarvi verso l’alto, verso il cielo, verso la musica delle trombe angeliche. Paolo segue la sua missione di portare il suono in mezzo a noi e, attraverso il suono, attiva le luci dell’arcobaleno. Le vibrazioni del suono ci portano a conoscere anche tutti i colori primari, con varie intensità di rosso, arancio, giallo, azzurro, indaco, viola, e le loro combinazioni. Il mondo di Paolo non è solo in bianco e nero, non è il mondo orizzontale di un uomo che “attraversa ossequiosamente lo squallore della sua esistenza quotidiana”, ma è un universo che prova a variare le tinte sbiadite dell’esistenza. Lo stesso Fresu, durante l’intervista realizzata prima del concerto, ha spiegato che la sua  musica è orientata verso una continua ricerca in cui niente risulta acquisito per sempre. Il suono non è mai qualcosa di stabile. La sua idea di invenzione e fantasia musicale è sempre in divenire. Tutto scorre nell’Universo di Fresu, questa sua modalità rappresenta un cammino vitale è determinante per la sua arte.
E questo pensiero emerge ad ogni concerto e, anche oggi, le vibrazioni musicali degli strumenti hanno saputo trasmettere un messaggio profondo ad un pubblico entusiasta che ha riempito la grande sala della Cappella Paolina.
Gli amici del Gremio dei sardi con il nostro presidente Antonio Maria Masia, presenti in gran numero, si sono messi in fila per omaggiare l’amico e l’artista, dotato di autentico spirito della nostra Isola.



4 Commenti to “IL PICCOLO SARDO CHE STUPISCE IL MONDO: IL SOUND DI PAOLO FRESU AL QUIRINALE PER I “CONCERTI ALLA CAPPELLA PAOLINA””

  1.   Gemma Azuni Says:
    Un particolare ringraziamento a Patrizia Boi per il bellissimo articolo
  2.   Maria Di Maio Says:
    Orgogliosamente sarda o sbaglio?
  3.   Maria Olianas Says:
    Orgoglio sardo !!
  4.   patrizia boi Says:
    Grazie a te Gemma che l’hai letto e grazie a Paolo Fresu che fa grande la nostra Isola!
    Grazie anche alle due Marie!
    Patrizia

Uno dei grandi del Restauro: R O B E R T O L U C I A N I

Intervista a Roberto Luciani

Un'esistenza tra arte, libri e monumenti

Il complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande, attuale sede del MiBACT
Il complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande, attuale sede del MiBACT
5 FEB 2016 
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Se vi incuriosisce osservare un antico dipinto o un giardino monumentale, immergervi in un sito archeologico scampato alla distruzione del tempo o sperimentare la bellezza di una delle chiese erette per dimostrare la grandezza di Dio, credo che vi interesserà incontrare Roberto Luciani, un uomo che ha trascorso la vita a studiare la Storia dell’Architettura e dell’Arte del nostro Belpaese. Lo abbiamo intervistato nel suo splendido ufficio nel Complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande, attuale sede del MiBACT.
Da dove nasce la tua passione per la conoscenza e l’Arte?
Forse dal luogo in cui sono nato, situato proprio accanto alla Casa dell’Architettura… Da mia madre che scriveva poesie e racconti; da mio padre, che era dedito alla letteratura, al giornalismo, all’editoria, all’arte. Ho scritto i miei primi articoli sulla rivista di famiglia, Primi Piani, e su vari altri quotidiani e periodici già quando ero adolescente.
Hai scritto una sessantina di libri e un migliaio di articoli, hai realizzato parecchi restauri monumentali, quale motore ti spinge?
Sono convinto che l’architettura sia tra tutte le arti quella che più arditamente cerca di riprodurre nel suo ritmo l’ordine dell’universo, per questo me la sono scelta come percorso universitario. In quegli anni, ho maturato grande interesse per la storia dell’architettura e il restauro, ma anche per la museografia e l’arte contemporanea. Credo nella unicità e irripetibilità della personalità artistica, nell’arte come intuizione e nell’architettura come arte, un orizzonte senza limiti, né di tempo né di spazio, in cui tutto è sempre nuovo e irripetibile. Mi spingono curiosità e bellezza.
Mi stupisce che negli anni giovanili tu sia stato anche scenografo: come è accaduto?
Quando lo scenografo Mario Chiari decise di passare alla regia con il film Prete, fai un miracolo, mi chiamò come Assistente alla scenografia. A 23 anni fu un’esperienza straordinaria lavorare nella sua spettacolare casa di Largo Argentina e girare le scene in notturna con tutta la troupe a Sabaudia. Seguirono i film L’Assassino ha riservato nove poltrone, regia di Giuseppe Bennati, con Rosanna Schiaffino e La Pretora, regia di Lucio Fulci, con Edvige Fenech. Quando, però, la Soprintendenza Archeologica di Roma mi propose una collaborazione per effettuare studi, ricerche bibliografiche, catalogazioni, rilievi, ecc., ho “dovuto” abbandonare la scenografia. Il tempo è tiranno e mi serviva tutta la mia energia, attenzione, emozione.
Come sei riuscito a conciliare la tua attività lavorativa con la concentrazione necessaria per scrivere libri?
Rilevare e analizzare le rovine di Roma, formulare le mie concezioni sull’arte antica, pubblicare libri sulla città, esprimere l’ideale della Romanitas e del senso della continuità tra la Roma antica e la Roma moderna ha un ruolo fondamentale per la tutela e restauro dei monumenti. Per portare avanti la “mia missione” ho rinunciato a svaghi e tempo libero, compromettendo la mia stessa salute, studiando incessantemente, giorno e notte e durante le festività.
Sei uno dei massimi esperti di restauro a livello nazionale, di quali importanti opere ti sei occupato?
Ho progettato e diretto oltre duecento restauri di beni architettonici, maggiormente a Roma e in Sardegna (Castel Sant’Angelo, Complesso monumentale San Michele a Ripa Grande, Chiesa di San Pantaleo di Martis, Chiesa di San Nicola di Silanis a Sedini, Forte Camicia a Palau, ecc.); di beni storico artistici (Retablo di San Giorgio, sec. XVI, nella Chiesa parrocchiale di Perfugas, Gruppo ligneo Deposizione della Croce, fine sec. XIII, nella Chiesa di San Pietro delle Immagini di Bulzi, Sacra Famiglia con San Giovannino del Maestro di Ozieri, ecc.); di beni archeologici; di giardini storici. La mia linea di ricerca è ambiziosa e volge alla crescita spirituale dell’uomo attraverso l’arte, sono convinto che la cultura e la bellezza possano salvare il mondo. Per questo i miei libri e i miei restauri sono progettati e realizzati con cura, sempre accolti con grande consenso sia dal pubblico che nella comunità scientifica.
Hai lavorato a Bologna, con il soprintendente Angelo Calvani, cosa ti ha insegnato quest’uomo?
Nonostante la giovane età, Calvani mi affidò incarichi di prestigio come la collaborazione al restauro del Palazzo Farnese di Piacenza e della Torre medievale di Fidenza. Mi diceva: “tu mi piaci perché non disdegni di sporcarti le scarpe di calce”. Sono convinto che il Restauro debba evitare ogni ostentazione, rifiutare ogni esibizionismo per essere compreso non solo con gli occhi ma anche con la mente.
Come sei approdato in Sardegna?
Fu una grande opportunità: nel 1990 fui assegnato alla Soprintendenza mista Beni Architettonici e Artistici e Storici per le province di Sassari e Nuoro. Dovevo operare in un vasto territorio ricco di fabbriche architettoniche, soprattutto chiese romaniche e beni storico artistici, con un numero esiguo di architetti e storici dell’arte in servizio. Ci sono rimasto otto anni, restaurando chiese, torri costiere, castelli, il Palazzo dell’Università di Sassari.
Hai diretto l’ufficio tecnico del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, come hai conciliato questo impegno con il lavoro in Sardegna?
Ricordo i continui viaggi tra Fiumicino e Alghero, dove tenevo in entrambi gli aeroporti una macchina. In Sardegna per meglio immergermi nell’atmosfera dell’isola risiedevo in una villa sul mare a Platamona, dove mi teneva compagnia l’incessante sciabordio delle onde.
Cosa hai scoperto ad Assisi in merito al nascondiglio di San Francesco?
Nel 1991 fui incaricato di effettuare studi, ricerche e rilievi del complesso monastico di San Damiano in Assisi. Mi sono trasferito alcuni mesi nel convento, dormendo in una cella e mangiando nel refettorio con i frati, discutendo di teologia e di arte, partecipando alle messe cantate. È stata un’esperienza professionale e mistica importante che mi ha consentito di scoprire il nascondiglio di San Francesco. Tutti credevano che si nascondesse in una nicchia nel muro, invece, con il conforto topografico e delle fonti (Tommaso da Celano), individuai il suo nascondiglio in un mitreo sotterraneo.
Mi piacerebbe sapere del tuo “matrimonio pagano” con la giornalista e teologa Franca Canala.
Dopo il matrimonio in chiesa, ho riproposto un matrimonio pagano come nell’antica Roma, ricreando ambienti, peristili, percorsi, in una tenuta sull’Appia Antica già corredata di tombe e strade romane. Gli sposi, le autorità, i testimoni, gli invitati erano vestiti con abiti appositamente disegnati e realizzati per partecipare al rito. Ho studiato tutto nei dettagli: il tempio, le domus degli sposi, i tragitti che gli invitati e gli sposi dovevano percorrere, le fiaccolate, le doti monetarie e il banchetto. Ho fatto ricorso alle ricette di Apicius servendo cibi e bevande analoghe a quelle usate dagli antichi romani.
Il cardinale Ugo Poletti afferma: “Correttezza, eleganza, misura, sono le caratteristiche principali dell’uomo Roberto Luciani; scientificità, applicazione, ricerca, sono le caratteristiche principali dello studioso di arte Roberto Luciani”.
Fu il 10 maggio 1996, durante la presentazione del volume Santa Maria Maggiore e Roma, voluto dal cardinale arciprete della basilica Ugo Poletti, mio pastore spirituale.
In questa frase dell’alto prelato sono sintetizzati i valori dell’uomo, dell’architetto, dell’archeologo, dello storico dell’arte, del restauratore, del giornalista, del professore Roberto Luciani.
Credo che la perfezione architettonica debba ricercarsi in una riconciliazione del dettato vitruviano con i monumenti, mentre il restauro di essi equivale a un dovere morale, ponendosi in una prospettiva scientifica e archeologica, con il ricorso a tutte le fonti, comprese quelle classiche, le iscrizioni, le monete. In effetti mi rilevo in questo “umanista” di professione.
Come sei arrivato a studiare uno dei palazzi del potere per eccellenza, Palazzo Vidoni, sede della Funzione Pubblica?
Nel 2002 il ministro della Funzione Pubblica, sensibile all’arte, si rese conto di “risiedere” in un palazzo meraviglioso, progettato agli inizi del Cinquecento dal Lorenzetto, decorato da affreschi rinascimentali, quasi inaccessibile agli studiosi in quanto palazzo per eccellenza del potere politico di Roma. Curai una pubblicazione per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, eccezionale per la sua bellezza, ma anche perché inerente un edificio inedito.
Parliamo ancora di un fatto privato: il miracolo della nascita delle gemelle.
Sono nate nel 2003, le mie figlie gemelle, Angelica Maria e Anastasia Maria, dopo la nascita prematura a 28 settimane. Abbiamo affrontato un periodo di ospedalizzazione lungo e tormentato: lo spirito delle neonate e la bravura dei medici hanno fatto sì che le bambine si siano allineate nella crescita a quelle nate non pretermine. Sono così padre di due bambine che la sofferenza patita all’inizio della loro esistenza ha reso straordinarie. Ora, a dodici anni, cantano nel coro delle Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma, impegnate anche in importanti rappresentazioni al Teatro dell’Opera e alle Terme di Caracalla.
Di recente ti sei occupato della collezione d’arte della Farnesina, perché hai lasciato?
Nel 2009 sono stato nominato Esperto nel Ministero degli Affari Esteri e coordinatore dell’Unità per la Collezione delle Opere d’Arte contemporanea della Farnesina, ma gli impegni internazionali richiesti mi impedivano di stare vicino alla famiglia. Per questo, dopo alcuni anni, ho deciso di tornare al MiBACT.
Fai parte della commissione che studia la Collezione d’arte pervenuta dai transatlantici dismessi, di cosa si tratta?
Nel Complesso monumentale del San Michele è allestita una singolare raccolta di opere di artisti italiani degli anni Cinquanta/Sessanta (Savinio, Mafai, Severini, Vedova, Fazzini, Fiume, Omiccioli, Purificato, ecc.), appartenenti ai transatlantici di lusso dell’ex Società Italia di Navigazione. Dopo l’inabissamento dell’Andrea Doria, nel 1979, le navi e tutte le opere d’arte, gli arredi e le suppellettili ornamentali furono cedute al demanio dello Stato. Con il disarmo della flotta navale questo patrimonio artistico è stato acquisito dal Ministero per i Beni Culturali e conservato al San Michele.
Come proseguirà il tuo viaggio nel mondo conoscenza?
Sto lavorando a una mostra antologica dell’artista Sandro Luporini, autore dei testi del Teatro-Canzone di Giorgio Gaber, che si allestirà nell’estate 2016 alle Terme di Diocleziano, grazie al nuovo Soprintendente architetto Francesco Prosperetti, sensibile all’arte contemporanea.