I libri di Patrizia Boi

lunedì 26 febbraio 2024

LA ROSA NON CI AMA - A TEATRO LO SPAZIO - REGIA GIANNI DE FEO

 

LA ROSA NON CI AMA

Teatro Lo Spazio


Cloris Brosca e Gianni De Feo in "La rosa non ci ama", regia Gianni De Feo. Foto Manuela Giusto

Sold out al Teatro Lo Spazio per lo spettacolo “La rosa non ci ama” del drammaturgo napoletano Roberto Russo, andato in scena dal 22 al 25 febbraio 2024, con la Regia di Gianni de Feo, interprete dell’opera insieme all’attrice Cloris Brosca.

La scena è scarna, in essa giganteggia solo una specie di installazione pittorica, un busto di cristallo allacciato con fili colorati, sormontato da due ali dorate a forma di cuore: un grande cuore con tutti i suoi legamenti che può volare nel mondo dorato dell’amore ma che può anche essere imprigionato in una tela di ragno variopinta, contorta, pericolosa. Due leggii ai lati, ricoperti da scialli bianchi e rossi, completano l’opera dell’artista Roberto Rinaldi a cui è stato affidato l’impianto scenico e i costumi.

Il resto è oscurità, ombra, confessione, lamento, disvelamento…

In scena due grandi attori, Gianni De Feo e Cloris Brosca, interpretano la tragedia di ogni amore, la trasformazione in orrore, assassinio, morte, nel processo che richiama i testimoni della vicenda amorosa e che si conclude col verdetto dei giudici.  

I legami del cuore sono al centro della drammaturgia: la rosa rossa, simbolo di amore appassionato in ogni epoca, seduce col suo profumo e la bellezza dei suoi colori, ma può anche uccidere con la sola punta sottile di una spina.

I protagonisti sono ombre nella notte scura di una piazza dove fanno da sfondo le mura della Basilica di San Domenico Maggiore circondata da silenziosi palazzi cinquecenteschi: potrebbe essere una piazza qualsiasi che ha visto nascere un amore qualsiasi, lo ha visto consumarsi e trasformarsi in odio.

In ogni amore travagliato esiste un percorso, momenti di grande felicità e altri di grande dolore, esistono errori, rabbie, colpe, di cui spesso gli artefici non si rendono conto, ma arriva un momento dove occorre prendere coscienza, fosse anche oltre la vita, nel mondo fantasmagorico dell’ombra rimasta dopo il trapasso, quell’ombra che forse sarebbe voluta fuoriuscire e impedire il tragico finale.

Gianni De Feo e Cloris Brosca rappresentano con maestria queste ombre, due spiriti infelici, torturati dal senso di colpa, che scontano la pena delle loro azioni come in un inferno dantesco, costretti a ricordare costantemente il loro dramma, i fili attorcigliati e recisi della loro relazione, i peccati commessi, il dolore passato, il sangue versato.

Sono due maschere che si confessano vicendevolmente, che raccontano le ragioni dei loro comportamenti, incolpandosi l’un l’altro, come avviene in ogni amore. Ma non tutti gli amori sono uguali, due sconosciuti qualunque possono anche vivere le medesime tragedie, ma quando l’intrigo riguarda personaggi importanti, le notizie sono copiose anche nei libri di storia.

E l’Autore si nutre di storia, applica alla sua scrittura scenica lo schema della Tripartizione Eduardiana (Soggetto, Sceneggiatura e Dialogo) spaziando dall’uso della lingua napoletana all’Italiano, variando tematiche, argomenti ed epoche e prediligendo, di fondo, un’approfondita analisi socio-psicologico-sentimentale dei personaggi e degli argomenti storici trattati.  Si tratta di Teatro Storico-Sociale con una spiccata predilezione per avvenimenti collegati alla storia di Napoli, nella fattispecie in questo spettacolo si parla della vicenda del Principe di Venosa, Carlo Gesualdo, e di sua moglie Maria d'Avalos accaduta nel 1590.

Siamo a Napoli davanti al palazzo che appartenne al Principe Carlo Gesualdo da Venosa e dove, nella notte tra il 16 e il 17 ottobre del 1590, il Principe assassinò sua moglie Maria D’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa, Duca D’Andria.

Si tratta di un celebre delitto passionale che pian piano viene narrato durante l’azione scenica, la cronaca di uno dei più famosi delitti passionali della nostra storia.

 

Cloris Brosca in "La rosa non ci ama", regia Gianni De Feo. Foto Manuela Giusto

 

Durante l’azione scenica l’identità dei due personaggi gradualmente si svela. Cloris Brosca – ve la ricordate la mitica Zingara della TV inventata da Pippo Baudo? - è la prima ad innalzare il suo lamento sul dramma della sua esistenza e lo spiega nella sua lingua, con una voce chiara, determinata, impeccabile, in un napoletano antico, come parlasse nella sua epoca, con un volto che esprime ogni sofferenza. Il principe risponde esprimendosi tra italiano e spagnolo ma soprattutto con l’eleganza del suo corpo fermo o in movimento e con l’espressività del suo volto da mimo. Anche quando la confessione è affidata al personaggio della moglie, il suo viso commenta ogni parola, abituato a far dialogare con lo spettatore ogni fibra del suo corpo.

Gianni De Feo in "La rosa non ci ama", regia Gianni De Feo. Foto Manuela Giusto

Senza entrare nel dettaglio del dialogo e dei risvolti degli accadimenti, Gianni De Feo e Cloris Brosca, ricomponendo i colori di un oggetto fuori contesto, il Cubo di Rubik, attraversano tutta la gamma cromatica delle loro anime per dare un senso ai loro sentimenti attraverso i sei colori: la vigliaccheria del giallo, l’invidia del verde passando dal blu al bianco al viola per giungere al rosso del sangue.

Due elementi sono connaturati a quell’uomo sensibile e geniale inventore dei colori della musica, raffinato madrigalista e stimato ispiratore dei tempi a venire, qual era il Principe Carlo Gesualdo: la musica e i suoi colori, per l’appunto. E la musica infatti è un elemento portante dello spettacolo, incombe sulla scena con i suoi suoni chiari e scuri, raccontando la vicenda con temi e modi dell’epoca. Alessandro Panatteri, autore delle Musiche originali, servendosi della consulenza musicale di M. Adriana Caggiano, si adatta perfettamente alle scelte del regista che afferma: «Ho privilegiato un’atmosfera notturna da cui, come barboni, emergono due personaggi. Sarà l’azione scenica a riproporre, in una ritualità ossessiva, le figure di Carlo e Maria. La regia alterna fra colori e musica, personaggi infernali, grottesche figure sul proscenio dell’orrore».

Dopo lo sconto rabbioso, in un abbandono catartico, i due fantasmi, accettando le colpe reciproche, sono capaci di purificare le proprie anime raggiungendo finalmente la pace.

I protagonisti interpretano anche altri personaggi necessari al dipanarsi della storia, come gli accusatori di un tribunale e tutte quelle figure intorno alle quali ruota la vicenda stessa. Allo stesso modo si mescolano le lingue, dallo spagnolo del 500 al napoletano antico fino al latino, attraverso un linguaggio forbito a tratti lirico ma al tempo stesso contemporaneo.

La musica che entra padrona in ogni scena, sale in cattedra nel finale accompagnando un grandissimo Gianni De Feo che interpreta due testi di Torquato Tasso scritti espressamente per Gesualdo, ma mai messi in musica da questi: sono stati ora rielaborati con musiche originali e cantati dal vivo nello stile dei madrigali.

Promossi tutti gli artefici dello spettacolo, quindi, dallo scroscio di applausi prolungati del pubblico, rammentiamo altresì che le foto di scena sono di Manuela Giusto, la consulenza per lo spagnolo di Lorenzo Russo, la Produzione Lab di Tiziana Beato e l’Ufficio stampa e comunicazione di Andrea Cavazzini.