I libri di Patrizia Boi

sabato 7 settembre 2013

Wall Street Internationale Magazine: Tre Sognatori delle Scene: parla lo scenografo Osvaldo Desideri

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WSI
Sabato, 7 Settembre 2013

REPORT - Italy, Cultura

Tre marchigiani da Oscar

Sognatori delle scene.

Tre marchigiani da Oscar
Osvaldo Desideri
Come suggerisce la prefazione del libro Oltre le stelle di Mirko De Frassine (Ed. Youcanprint): “Nel mondo ogni giorno si incrociano i destini di mille persone…”. A me è capitato di incrociare Osvaldo Desideri, uno di quei seri professionisti della scena che per cinquant’anni hanno creato i set cinematografici di film che hanno fatto epoca.
Mi sono chiesta da dove derivasse la sua fortuna, la sua energia e quel sorriso di giovinezza che caratterizza la sua figura. Si tratta di uno degli scenografi italiani che ha conseguito il riconoscimento più ambito, l’Oscar. Oggi Osvaldo ha settantacinque anni, ma conserva la curiosità e la voglia di mettersi in gioco tipica di un ragazzino. In effetti è difficile attribuirgli un’età perché lo caratterizza una continua voglia di rinnovamento: «Ho sempre cercato, nella mia vita, di dare valore alla sincronicità degli eventi, mi sono fatto guidare dagli incontri e ho seguito quella spinta interiore che mi faceva scegliere ciò che realmente desideravo piuttosto che ciò che era bene che facessi. Mio padre voleva che io facessi un lavoro più serio, uno di quelli che ti danno certezze, ma io non c’ero tagliato. Volevo fare quello che ho realmente fatto e non stare seduto dietro ad una scrivania ad annoiarmi tutta la vita. Mi sono affidato…».

Ognuno di noi in effetti è stato creato con dei talenti che lo contraddistinguono e se li asseconda seguendo l’istinto si aprono delle porte e si giunge ad avere successo. E chi conosce i fatti sa che Osvaldo non si è annoiato mai. Ha lavorato con i più grandi registi, ha viaggiato e conosciuto le culture di tutto il mondo, ha partecipato alla costruzione delle scene di film come Morte a Venezia di Luchino Visconti, C’era una volta in America di Sergio Leone, L’Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci, Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? di Billy Wilder, per citarne solo alcuni. 

Ma come è arrivato a poter fare tutto questo? Sono stati gli incontri? Quali destini ha incrociato Osvaldo?

«Uno degli incontri più importanti della mia vita è stato senza dubbio quello con Ferdinando Scarfiotti, pensa un marchigiano, come me. Lui era di Potenza Picena, un piccolo Comune vicino Recanati, io sono di Fermo. E poi eravamo quasi coetanei, lui del ‘41, io del ‘39. Il nonno Lodovico è stato uno dei fondatori della Fiat, erano aristocratici e proprietari terrieri. Ferdinando era aristocratico nell’aspetto, nel cuore e nell’anima. Si comportava sempre in modo gentile ed educato, era intelligente, sensibile, capace. Aveva una creatività intensa ed era sempre disponibile al confronto e al dialogo, uno di quegli uomini con cui è una fortuna lavorare».

Quale fu la circostanza che rese favorevole questo incontro?

«Scarfiotti era stato lo scenografo di Visconti in molti spettacoli teatrali, ma a un certo punto nel ‘71 Visconti gli offrì la scenografia di Morte a Venezia. Per questo lavoro lui aveva bisogno di collaborazione e scelse me e Nedo Azzini per l’arredamento. Fu una vera fortuna incrociarlo, mi ha insegnato tanto, con i suoi modi educati, con quel suo modo di guardare sempre profondamente le cose e con la delicatezza della sua arte. Poi ognuno percorse la sua strada, lui andò in America e divenne, insieme a Luciana Arrighi, uno degli scenografi italiani più richiesti e apprezzati all' estero. Io proseguii con i miei film, incontrando interessanti registi e facendo altri film, poi, quando Bertolucci propose a Scarfiotti la scenografia de L’Ultimo Imperatore, fui chiamato anch’io insieme a Bruno Cesari. È stato molto stimolante lavorare per quel film, cimentarsi alla costruzione di scene così colossali e articolate. C’è voluto un grande impegno, un intenso lavoro di progettazione e soprattutto abbiamo trascorso quasi un anno in Cina. Alla fine il giusto riconoscimento per noi tutti è stato l’Oscar! ».

Osvaldo Desideri ha lavorato con tanti registi, il cambiamento ha caratterizzato la sua storia artistica, perché?

«Sono sempre stato uno che dice quel che pensa e che cerca di fare ciò che sente in base alla sua verità e alla passione per la scena. Quando questo non potevo più farlo, allora preferivo cambiare e fare esperienze con caratteri diversi, oltretutto la varietà mi arricchiva. È proprio per questa volontà di essere fedele a me stesso e di voler sperimentare cose nuove che ho conosciuto i più svariati registi, nelle scelte si perde qualcosa e qualcosa si guadagna, basta andare sempre avanti senza guardarsi mai indietro. La conoscenza ne guadagna senza dubbio, i percorsi si arricchiscono. Se non fossi stato aperto al continuo cambiamento, magari avrei lavorato tutta la vita con lo stesso regista, sarei stato sempre un impiegato attaccato a una poltrona, cosa che non volevo fare assolutamente».

In effetti, certe volte capita di essere più adatti a determinati film o di essere in linea con la personalità di un regista, altre volte semplicemente non si è in sintonia perché si hanno punti di vista diversi e non è colpa di nessuno, è semplicemente la realtà dei fatti.

Desideri ha lavorato anche con un altro grande scenografo italiano, certamente il più premiato di tutti, Dante Ferretti: «Con Dante ho lavorato in quattro film: Mio Dio, come sono caduta in basso! di Luigi Comencini (1974), Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini (1975), Todo modo di Elio Petri (1976) e La città delle donne di Federico Fellini (1980). Anche lui marchigiano, di Macerata, e anche lui pressoché coetaneo, del ‘43. Ferretti è un autentico genio della scenografia, mi piacciono molto le sue potenti visioni. Lui ha lavorato tanto con Pasolini, ma il suo sodalizio con Fellini ha prodotto le scenografie fantastiche e oniriche congeniali alle atmosfere felliniane. Tra di noi è quello che ha avuto il maggior successo, sette nomination all’Oscar e tre Oscar, nel 2005 - per The Aviator, di Martin Scorsese; nel 2008 - per Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street di Tim Burton; nel 2012 - per Hugo Cabret, sempre di Martin Scorsese. Ci accomuna anche una moglie che collabora alla scenografia. Da vent’anni mia moglie Ewa ed io lavoriamo sempre insieme, così anche per lui sua moglie Francesca Lo Schiavo, arredatore di set, è sua abituale collaboratrice».

Eppure Osvaldo ha incrociato anche altri due uomini che sono stati importanti.

«Devo riconoscere, però, che il mio successo non è legato solo ai due grandi scenografi che ho citato, ma anche a due maestri che mi hanno guidato quando muovevo i primi passi in questo fantastico lavoro. Il primo è stato Walter Patriarca, architetto, scenografo, costumista, pittore, filosofo e soprattutto uomo eccezionale. Mi ha insegnato il mestiere negli anni ‘60 quando costruivamo i set per i film con Bud Spencer. Il secondo, ma non meno importante, Nedo Azzini, con il quale ho iniziato l’avventura chiamata Scarfiotti, che era un gran personaggio della vita pubblica, impegnato in politica e con ottime doti commerciali. Insieme, Walter e Nedo, costituivano un uomo perfetto, quello che mi ha dato tutte le strutture per andare avanti. Con Walter ci incontriamo ancora ogni tanto, Nedo, purtroppo, è scomparso qualche anno fa…».

Per dirla con il Primo Accordo di Don Miguel Ruiz, Osvaldo Desideri è stato forse “impeccabile con la parola” nel senso che ha sempre detto quello che pensava e soprattutto ha cercato di non usare la parola contro se stesso, facendo ciò che lui riteneva verità e amore. 

Con la sua parola Osvaldo ha sempre cercato di avere rispetto verso i geni che gli è capitato di conoscere riuscendo a discernere tra le abilità artistiche e il carattere e si è preso la responsabilità delle scelte e dei tagli effettuati. 

Del resto, sempre secondo Don Ruiz, o meglio secondo l’antica saggezza Tolteca, noi sogniamo giorno e notte, noi siamo cioè addormentati e vaghiamo nel mondo in preda al nostro sogno. Ognuno ha un sogno diverso e normalmente vogliamo difendere il nostro e non siamo disponibili ad ascoltare veramente l’altro. Questo perché fin da piccoli siamo stati addomesticati dall’educazione familiare, sociale, ecc. Noi siamo nati liberi e pieni di desideri, ma i nostri desideri sono stati ingabbiati da quell’addomesticamento che ci ha riempito la mente di credenze. Allora è bene che rispettiamo il Secondo Accordo, cioè “non prendiamo nulla in modo personale” perché niente di quello che fanno gli altri è causa nostra, semmai è una proiezione della loro realtà, del loro stesso sogno. Diventando immuni alle opinioni e alle azioni degli altri non siamo più le vittime di un'inutile sofferenza e ci guadagniamo il nostro paradiso, cioè quello stato che raggiungiamo quando siamo in linea con noi stessi. 

L’aver investito sull’essere realmente se stesso e l’essersi affidato alla sincronicità degli incontri ha fatto sì che Desideri riuscisse a realizzare il suo personale Sogno. Questa storia di destini che si incrociano ci spinga tutti a osare con i nostri desideri…
Foto:
1. Locandina de L'ultimo Imperatore, di Bernardo Bertolucci
2. Locandina di Morte a Venezia, di Luchino Visconti
3. Locandina di C'era una volta in America, di Sergio Leone
4. Jack Lemmon e Juliet Mills in: Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? di Billy Wilder (1972)
5. Gian Maria Volonté in Todo modo di Elio Petri (1976)
6. Mio Dio, come sono caduta in basso! di Luigi Comencini (1974)
Pubblicato: Sabato, 7 Settembre 2013
Articolo di:  Patrizia Boi

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