I libri di Patrizia Boi

giovedì 15 giugno 2023

Cucinare un libro con charme - Intervista a Patrice Avella

 Cucinare un libro con charme

Intervista a Patrice Avella

Patrice Avella a Napoli, elaborazione Veronica Paredes


Patrice è uno scrittore francese, di origine italiana, nato a Digione, che vive a Scansano, un delizioso borgo della Maremma Toscana, ed è un esperto di vini e gastronomia. Tiene una interessante rubrica gastronomica di cucina italiana, infatti, sulla rivista La Voce – la rivista degli italiani in Francia.

Patrice Avella ci aveva raccontato nel 2022 “Prévert, l’amore e Paris” (Editore Ass. Culturale Il Foglio), ossia le poesie d’amore, le donne amate dal poeta, i quartieri frequentati a Parigi e le Brasseries dove era solito ristorarsi, cogliendo l’occasione per far addentrare il lettore nella  storia gastronomica dei piatti francesi, nelle poesie e nelle canzoni famose del poeta, nonché nelle sceneggiature dei suoi film migliori.

Nel gennaio 2021 ha pubblicato Modigliani, l’amore & Paris (Editore Ass. Culturale Il Foglio) dove ci fa conoscere le donne che hanno ispirato il nostro artista toscano, accompagnando il lettore tra le vie di Parigi e facendogli apprezzare la gastronomia delle tradizionali Brasseries di Montparnasse. Nel gennaio 2020 aveva pubblicato A tavola con gli Appiani. Storia della famiglia degli Appiani e ricette della cucina del rinascimento piombinese (coautore Gordiano Lupi, Editore Ass. Culturale Il Foglio), una bella passeggiata nella gastronomia toscana medievale e rinascimentale. Nel 2019 ha fatto una pausa dalla cucina per parlare d’amore nell’opera Il cavaliere e la bella principessa. Storia d’amore medievale a Campiglia Marittima. Historia obsidionis Campillia (Editore Ass. Culturale Il Foglio). Mentre nel 2018 aveva scritto Piombino con gusto. Ricette e ricordi (coautore Gordiano Lupi, Editore Ass. Culturale Il Foglio), dove insegnava al lettore la filosofia dello scrittore-buongustaio che attraverso ricette e racconti fa conoscere i piatti del tempo passato della città di Piombino. Sempre nel 2018 era uscito un altro suo libro multilingue Réminiscences. Nomaderie et pointillisme (Ediz. italiana e francese, Il Foglio), dove tornava sul tema dell’amore. Infine è del 2018 anche l’opera La grande abbuffata. Breve storia del cinema e della cucina italiana (coautore Gordiano Lupi,  Editore Ass. Culturale Il Foglio), dove descrive un pranzo di gala servito da due chef stellati, intrecciando la cucina italiana con la storia del cinema, alla scoperta dei cibi attraverso il cinema, dalle origini fino al cinema moderno. Del 2017 invece era Pasta e cinema (coautore Gordiano Lupi,  Editore Ass. Culturale Il Foglio), dove si tratta della pasta entrata nella cultura nazionale diventando sinonimo di tradizione e italianità. Il primo libro di Avella, del 2016, era, invece, un libro molto diverso Caffè sangue. Piazza Fontana. Vol. 1 (Ass. Culturale Il Foglio nella collana Narrativa), un episodio cruciale della storia italiana che ancora dovrebbe essere approfondito.
Da queste notizie appare evidente che il tema gastronomico è preponderante nei libri di Patrice, ma cerchiamo una maggiore comprensione della sua opera attraverso una breve intervista all’Autore.

Patrice da dove nasce la tua passione per il vino e la gastronomia?

«Il mio soprannome rimane “Patrice le Gastronomade”. Sono una specie di nomade della vita: è la curiosità verso il prossimo che mi porta anche verso la curiosità culinaria, come un viaggiatore che adora incontrare nuova gente, nuova cultura, nuove ricette.  Solo così si capisce di più di sé  stessi e degli altri. Per quanto concerne il vino, provengo da una famosa regione, la Borgogna, dove il vino è uno dei migliori al mondo. Lì, la madre che allata il suo bambino, mette anche un po’ di vino nel biberon per aiutare la digestione… Posso dire di aver viaggiato in tante altre regioni, assaggiando tanti altri vini: ho potuto abbinare alle mie ricette gastronomiche il vino di ogni regione. Ma piuttosto che definirmi un gourmet mi vedo più come uno storico: mi sono reso conto, infatti, che Cultura e Cibo sono associate alla Storia dell’uomo, dall’Antichità ai giorni nostri. Le guerre, le invasioni, i viaggi, le scoperte dell’India e dell’America, hanno modificato in modo esponenziale la gastronomia dei nostri paesi europei e mediterranei».


Quali simbologie sono celate dietro il comportanento delle persone nei confronti del cibo?

«Bisogna amare e aver passione per cucinare, volere la felicità delle persone care. L’umore di chi cucina passa nel cibo e viene assorbito da chi poi lo mangia a tavola. Il cibo assume un significato psicologico che ha effetti incredibili sull’umore, ma anche sull’amore. Nutriamo i nostri cari, i nostri amici alla nostra tavola con pensieri d’amore o di malinconia. E anche qualche volta di nostalgia. Il cibo ha valenze emozionali forti, simboli emotivi del linguaggio non verbale che viaggia nascosto al nostro livello di coscienza: quello che mangiamo ci ricorda e riporta alle nostre relazioni affettive importanti e alla qualità dell’amore che abbiamo ricevuto in certe occasioni della nostra vita. Come le “Madeleines de Proust” o la pasta della nonna quando eravamo tristi. Gli odori, i profumi e colori di un piatto, subito diventano un “Amarcord” piacevole nella nostra anima».


Piacere e amore, piacere o amore, sono questi gli ingredienti che si coniugano prevalentemente con il modo di cucinare e di assaporare il cibo in ogni essere umano?

«Per una radio nazionale francese, France Bleu, per tre anni ho animato una trasmissione originale che si chiamava “Dimmi che pasta mangi e ti dirò chi sei!”. Con una certa fortuna ho fatto centro ogni volta: e non era così scontato in Francia, che gli ascoltatori non conoscono tutte le forme di pasta e tutti i sughi nostrani come gli Italiani. Ho creato anche un altro ‘Test’ in Francia che funzionava bene: “Dimmi cosa mangi a cena e ti dirò com’è la tua vita sessuale”. Ma questo test purtroppo non si poteva effettuare alla radio. Dovrei provare ad adattarlo al modo di cucinare Italiano - che è diverso da quello francese - per vedere se ottengo gli stessi risultati favorevoli. Cucinare e mangiare assomiglia tanto all’atto d’amore. Ci vuole armonia, affiatamento, spregiudicatezza, libidine, desiderio e fantasia. Di fronte a un sapore nuovo, bisogna mollare i freni inibitori e gustare senza pregiudizi. Ma chi ama la “routine” di una relazione e un’abitudine culinaria, non ha per forza torto; ma si capisce subito il suo modo di vivere e la sua relazione sessuale».

Come si relaziona l’artista con l’arte culinaria?


«
L’artista mediterraneo ha una relazione culturale con il cibo, perché lui trasmette la vita che esiste nella regione dove vive. È evidente per esempio: nella letteratura francese con il commissario Maigret; in quella spagnola con l’ispettore Pepe Carvalho; in Italia con il famoso siciliano Montalbano. In questi gialli celebri, i protagonisti sono capaci di fermare la loro inchiesta, per prendersi il tempo di mangiare bene, per gustare dei piatti squisiti, cucinati come nella loro regione d’origine, per loro le vere tradizioni comandano. La particolarità in Italia rimane che ogni scrittore di gialli scrive sulla sua zona e città, e dunque mangia le specialità della sua regione e non altre. Nella letterature anglosassone, e peggio, in quella scandinava, non si mangia. Si beve, molto anche, ma non perdono tempo a mettersi a tavola per riflettere su un’inchiesta. Questione di cultura culinaria evidente».

Hai studiato spesso la relazione tra cibo e cinema, per l’aspetto visivo?

«Abbiamo scritto due libri con il cinefilo Gordiano Lupi sulla relazione passionale tra il cibo e il cinema: “Pasta e Cinema” e “Cinecittà a Tavola, la grande abbuffata”. Ho parlato prima della relazione molto particolare che esiste tra gli scrittori e il cibo nei paesi del Mediterraneo. Si potrebbe dire la stessa cosa per l’aspetto visivo del cinema.  In nessun paese si mangia tanto quanto nei paesi latini, mentre nei paesi anglossassoni si mangia pochissimo e male. Cinecittà ha messo in evidenza l’arte culinaria italiana in tanti film, che vanno dal neorealismo ai film contemporanei. Si ricorda di tante emozioni vissute guardando un film di Alberto Sordi, “M’ai provocato e io ti distruggo, maccarone!”, oppure quella scena comica degli spaghetti messi in tasca da Toto’ mentre si trova in piedi sulla tavola, nel film “Miseria e Nobiltà”. Insieme, in questi libri, Gordiano e io, abbiamo contribuito a comporre un profilo dell’identità italiana, nutrita parimenti dalle ghiottonerie materiali del cibo e dai sogni dell’immaginario filmico. Abbiamo anche creato un altro Test “Dimmi che film vedi e ti dirò chi sei».



Quali sono gli elementi cruciali per definire un buon piatto?

«Per definire un bel piatto si deve affiliare ai colori della bandiera italiana: il verde, il bianco e il rosso! Perché prima del senso del gusto, è quello dello sguardo che rimane il più importante. Dopo si può aggiungere il giallo o arancio, un po’ di blu o viola. Diventa importante l’impatto visivo del cibo e le emozioni che esso può suscitare nella cucina contemporanea degli Chef stellati, dove oltre al gusto delle pietanze e alla ricercatezza degli ingredienti contano anche l’aspetto e l’arte dell’impiattare. Come me, tanti grandi Chef stellati frequentano i Musei europei per creare nei loro piatti abbinamenti cromatici gradevoli e raffinati, alla Mirò, alla Picasso, alla Gauguin o in paragone a tanti artisti dell’Impressionismo. I sensi sono la nostra guida in tutte le attività della vita e anche nel campo dell’alimentazione, la nostra percezione può venirci in aiuto, sia per permetterci di gustare il sapore di un piatto prelibato, sia per apprezzarne l’aroma e il profumo, sia per godere della sua vista. L’aspetto e il colore favoriscono il nostro appetito e ci invitano all’assaggio suscitando delle emozioni che ci faranno apprezzare ancora di più il suo sapore».



Prévert e Modigliani, perchè hai scelto questi due artisti per guidare il lettore verso le tradizioni gastronomiche francesi?

«Questi due personaggi celebri - che hanno vissuto a Parigi – mi sono amici dall’infanzia. Li ho frequentati così tanto da amarli davvero come amici del cuore. Sono stato fiero di aver potuto scrivere le loro biografie e quelle delle donne da loro amate. Tutte queste donne hanno avuto un ruolo importante, come ispiratrici e Muse dei due artisti maledetti. La loro celebrità, come sempre, è venuta troppo tardi, dopo la loro morte e la lunga malattia. Ma i due artisti amavano la gente, la città di Parigi, i veri quartieri del vecchio “Paname”, Montmartre, Montparnasse, Quartier St-Germain-des-Prés, le Quartier Latin. Il lettore leggendo questi due libri potrà scoprire belle passeggiate da fare nei quartieri nei quali hanno vissuto questi due geni e il loro amici artisti della loro epoca. Ma chi dice camminare dice anche restaurarsi. La parola viene da Parigi dopo la Rivoluzione francese quando tanti cuochi hanno aperto locali dove la gente poteva “restaurarsi” durante tutte le ore, creando così il nome di Restaurant. Il lettore italiano non avrà più paura di scegliere un piatto a Paris leggendo i libri e saprà cosa mangiare nei famosi “Bouillons” o nelle “Brasseries” i veri piatti squisiti della tradizione della gastronomia parigina».


Pasolini e il suo tempo, quali luoghi frequentava?

«Numerosissime sono le zone di Roma che mantengono ancora dei forti collegamenti con la figura di Pasolini, dalla Tuscolana alla Garbatella, dalla baracche del Mandrione alle periferie di Rebbibia, da Monteverde alla chiesa dell’Eur…  Per lui, come per me, quando venivo a trovare la mia famiglia a Roma nel quartiere di Centocelle e della Tiburtina, la Città Eterna non era solo il Colosseo, i Fori Imperiali, San Pietro o Piazza Navona. La mia Roma degli anni ’70 era anche il Pigneto, la Magliana. Soltanto dopo frequentavo il centro storico di Roma e sempre a piedi. Se possibile senza mappa per perdermi nei vicoli tipici di Trastevere. Consiglio di visitare tutte le opere d’arte della Street-Art in onore di Pasolini nei diversi quartieri della capitale e passeggiare nelle strade dove ha vissuto il poeta Pier Paolo. E come dicevano i miei zii romani, “Stai a fa’ er giro d’er Peppe!”. Sì, come San Giuseppe di Nazareth, da qui il dubbio sulle capacità di orientamento nel suo viaggio durante il ritorno di Betlemme. Perciò vi suggerisco di perdere tempo a fare un gran giro a Roma - anche se siete esausti - finirete a cenare nelle favolose trattorie romane, esattamente come faccio io».


Pasolini e i suoi amici, cosa raccontano di lui?

«Pier Paolo Pasolini, diceva Dacia Maraini, «era una persona stranamente divisa: nella vita privata era di una mitezza, di una dolcezza, con quell’accento veneto e una voce sempre dolce e soave. Ma quando scriveva, ecco che diventava duro, severo, e formulava i giudizi più aspri. Ai miei occhi prevaleva l’immagine di soavità, anche se, mi rendo conto, difficile da conciliare con l’immagine aggressiva e politica di chi lo conosceva per i suoi scritti». Pasolini ha avuto relazioni d’amore con tante donne di qualità e forte personalità. Relazioni non carnali, ma di forte amore, degne di essere paragonate alle relazioni tra innamorati. Diverse donne hanno apprezzato i momenti vissuti con lui, Silvana Mauri Ottieri, la Callas, Silvana Mangano - che ricordava la madre di Pier Paolo -, Laura Betti, Elsa Morante. Oriana Fallacci ha scritto una sconvolgente lettera dopo la sua morte: «Diventammo subito amici, noi amici impossibili, cioè io donna normale e tu uomo anormale, almeno secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltà, io innamorata della vita e tu innamorato della morte, io così dura e tu così dolce… anche se esisteva una nascosta ferocia sui tuoi zigomi forti, sul tuo naso da pugile, sulle tue labbra sottili, una crudeltà clandestina»».


Come invoglieresti un lettore a leggere il tuo ultimo libro?

«In questo libro vogliamo proporre al lettore una bella passeggiata nella città di Roma con un amico che si chiama Pier Paolo. Scoprire quartieri della Città Eterna leggendo le sue poesie, i suoi racconti, i suoi romanzi. Ritrovare i luoghi dove sono state girate tante scene dei suoi film, capire perché denunciava la distruzione di certe zone tipiche della romanità delle periferie urbanizzate dall’edilizia popolare che hanno radicalmente trasformato il volto e l’anima della periferia romana. Poi vogliamo proporre un Tour gastronomico per suggerire ai migliori palati la storia e le origini della vera cucina romana. Quindi, et voilà, una guida di luoghi e sapori, sedersi nelle trattorie frequentate da Pasolini che esistono ancora, sentire la sua presenza negli stessi decori dell’epoca, con gli stessi profumi dei piatti tipici, con suggestioni da grande schermo. Come nei suoi film, in quell’ambiente Pasolini aveva trovato un’umanità popolare dalla quale si era sentito irrimediabilmente attratto al punto da metterla al centro dei suoi romanzi e scenari».



 


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