Cucinare un libro con charme
Intervista a Patrice Avella
Patrice Avella a Napoli, elaborazione Veronica ParedesVenerdì prossimo 16
giugno 2023 alle ore 19:30, il giornalista enogastronomico di origine francese Patrice Avella, sarà a Roma presso l’elegante location di Interno
4, Via della Lungara 44, a parlarci di Pier Paolo Pasolini,
il cinema, l’amore & Roma (Aprile
2023, coautore Gordiano Lupi, Editore Ass. Culturale Il Foglio) con il suo
ultimo libro. Presenteranno l’opera le poetesse Elisabetta Pamela
Petrolati e
Veronica Paredes.
Patrice è uno scrittore francese, di origine
italiana, nato a Digione, che vive a Scansano, un delizioso borgo della Maremma
Toscana, ed è un esperto di vini e gastronomia. Tiene una interessante rubrica
gastronomica di cucina italiana, infatti, sulla rivista La Voce – la rivista degli italiani in
Francia.
Patrice Avella ci aveva raccontato nel 2022 “Prévert,
l’amore e Paris” (Editore Ass. Culturale Il Foglio), ossia le poesie d’amore, le donne amate dal poeta, i quartieri frequentati a
Parigi e le Brasseries dove era solito ristorarsi, cogliendo l’occasione per far addentrare il lettore
nella storia gastronomica dei piatti
francesi, nelle poesie e nelle canzoni famose del poeta, nonché nelle
sceneggiature dei suoi film migliori.
Nel gennaio 2021 ha pubblicato Modigliani, l’amore
& Paris (Editore
Ass. Culturale Il Foglio) dove ci fa conoscere le donne che hanno ispirato il
nostro artista toscano, accompagnando il lettore tra le vie di Parigi e facendogli
apprezzare la gastronomia delle tradizionali Brasseries di Montparnasse.
Nel gennaio 2020 aveva pubblicato A tavola con gli
Appiani. Storia della famiglia degli Appiani e ricette della cucina del rinascimento
piombinese (coautore Gordiano
Lupi, Editore Ass. Culturale Il Foglio), una bella passeggiata nella gastronomia
toscana medievale e rinascimentale. Nel 2019 ha fatto una pausa dalla cucina
per parlare d’amore nell’opera Il cavaliere e la
bella principessa. Storia d’amore medievale a Campiglia Marittima. Historia
obsidionis Campillia(Editore Ass. Culturale Il Foglio). Mentre
nel 2018 aveva scritto Piombino con gusto.
Ricette e ricordi (coautore Gordiano Lupi, Editore Ass. Culturale Il
Foglio), dove insegnava al lettore la filosofia dello scrittore-buongustaio che
attraverso ricette e racconti fa conoscere i piatti del tempo passato della
città di Piombino. Sempre nel 2018 era uscito un altro suo libro multilingue Réminiscences.
Nomaderie et pointillisme (Ediz. italiana e francese, Il Foglio), dove tornava sul
tema dell’amore. Infine è del 2018 anche l’opera La grande abbuffata.
Breve storia del cinema e della cucina italiana (coautore Gordiano Lupi, Editore Ass.
Culturale Il Foglio), dove descrive un pranzo di gala servito da due chef
stellati, intrecciando la cucina italiana con la storia del cinema, alla
scoperta dei cibi attraverso il cinema, dalle origini fino al cinema moderno. Del
2017 invece era Pasta e cinema (coautore Gordiano Lupi, Editore Ass.
Culturale Il Foglio), dove si tratta della pasta entrata nella cultura
nazionale diventando sinonimo di tradizione e italianità. Il primo libro di
Avella, del 2016, era, invece, un libro molto diverso Caffè
sangue. Piazza Fontana. Vol. 1 (Ass. Culturale Il Foglio nella collana
Narrativa), un episodio cruciale della storia italiana che ancora dovrebbe
essere approfondito. Da queste notizie appare evidente che il tema
gastronomico è preponderante nei libri di Patrice, ma cerchiamo una maggiore
comprensione della sua opera attraverso una breve intervista all’Autore.
Patrice
da dove nasce la tua passione per il vino e la gastronomia?
«Il mio soprannome rimane “Patrice le Gastronomade”.
Sono una specie di nomade della vita: è la curiosità verso il prossimo che mi
porta anche verso la curiosità culinaria, come un viaggiatore che adora
incontrare nuova gente, nuova cultura, nuove ricette. Solo così si capisce di più di sé stessi e degli altri. Per quanto concerne il
vino, provengo da una famosa regione, la Borgogna, dove il vino è uno dei
migliori al mondo. Lì, la madre che allata il suo bambino, mette anche un po’
di vino nel biberon per aiutare la digestione… Posso dire di aver viaggiato in
tante altre regioni, assaggiando tanti altri vini: ho potuto abbinare alle mie
ricette gastronomiche il vino di ogni regione. Ma piuttosto che definirmi un
gourmet mi vedo più come uno storico: mi sono reso conto, infatti, che Cultura
e Cibo sono associate alla Storia dell’uomo, dall’Antichità ai giorni nostri.
Le guerre, le invasioni, i viaggi, le scoperte dell’India e dell’America, hanno
modificato in modo esponenziale la gastronomia dei nostri paesi europei e
mediterranei».
Quali
simbologie sono celate dietro il comportanento delle persone nei confronti del
cibo?
«Bisogna amare e aver passione per cucinare, volere la felicità
delle persone care. L’umore di chi cucina passa nel cibo e viene assorbito da
chi poi lo mangia a tavola. Il cibo assume un significato psicologico che ha
effetti incredibili sull’umore, ma anche sull’amore. Nutriamo i nostri cari, i
nostri amici alla nostra tavola con pensieri d’amore o di malinconia. E anche
qualche volta di nostalgia. Il cibo ha valenze emozionali forti, simboli
emotivi del linguaggio non verbale che viaggia nascosto al nostro livello di
coscienza: quello che mangiamo ci ricorda e riporta alle nostre relazioni
affettive importanti e alla qualità dell’amore che abbiamo ricevuto in certe
occasioni della nostra vita. Come le “Madeleines de Proust” o la pasta
della nonna quando eravamo tristi. Gli odori, i profumi e colori di un piatto,
subito diventano un “Amarcord” piacevole nella nostra anima».
Piacere
e amore, piacere o amore, sono questi gli ingredienti che si coniugano
prevalentemente con il modo di cucinare e di assaporare il cibo in ogni essere
umano?
«Per una radio nazionale francese, France Bleu,
per tre anni ho animato una trasmissione originale che si chiamava “Dimmi
che pasta mangi e ti dirò chi sei!”. Con una certa fortuna ho fatto centro
ogni volta: e non era così scontato in Francia, che gli ascoltatori non conoscono
tutte le forme di pasta e tutti i sughi nostrani come gli Italiani. Ho creato
anche un altro ‘Test’ in Francia che funzionava bene: “Dimmi cosa mangi a
cena e ti dirò com’è la tua vita sessuale”. Ma questo test purtroppo non si
poteva effettuare alla radio. Dovrei provare ad adattarlo al modo di cucinare
Italiano - che è diverso da quello francese - per vedere se ottengo gli stessi
risultati favorevoli. Cucinare e mangiare assomiglia tanto all’atto d’amore. Ci
vuole armonia, affiatamento, spregiudicatezza, libidine, desiderio e fantasia.
Di fronte a un sapore nuovo, bisogna mollare i freni inibitori e gustare senza
pregiudizi. Ma chi ama la “routine” di una relazione e un’abitudine culinaria,
non ha per forza torto; ma si capisce subito il suo modo di vivere e la sua
relazione sessuale».
Come
si relaziona l’artista con l’arte culinaria?
«L’artista mediterraneo ha una relazione culturale con
il cibo, perché lui trasmette la vita che esiste nella regione dove vive. È
evidente per esempio: nella letteratura francese con il commissario Maigret; in
quella spagnola con l’ispettore Pepe Carvalho; in Italia con il famoso
siciliano Montalbano. In questi gialli celebri, i protagonisti sono capaci di
fermare la loro inchiesta, per prendersi il tempo di mangiare bene, per gustare
dei piatti squisiti, cucinati come nella loro regione d’origine, per loro le
vere tradizioni comandano. La particolarità in Italia rimane che ogni scrittore
di gialli scrive sulla sua zona e città, e dunque mangia le specialità della
sua regione e non altre. Nella letterature anglosassone, e peggio, in quella
scandinava, non si mangia. Si beve, molto anche, ma non perdono tempo a
mettersi a tavola per riflettere su un’inchiesta. Questione di cultura
culinaria evidente».
Hai
studiato spesso la relazione tra cibo e cinema, per l’aspetto visivo?
«Abbiamo scritto due libri con il cinefilo Gordiano Lupi
sulla relazione passionale tra il cibo e il cinema: “Pasta
e Cinema” e “Cinecittà a Tavola, la grande abbuffata”. Ho parlato
prima della relazione molto particolare che esiste tra gli scrittori e il cibo
nei paesi del Mediterraneo. Si potrebbe dire la stessa cosa per l’aspetto
visivo del cinema. In nessun paese si
mangia tanto quanto nei paesi latini, mentre nei paesi anglossassoni si mangia
pochissimo e male. Cinecittà ha messo in evidenza l’arte culinaria italiana in
tanti film, che vanno dal neorealismo ai film contemporanei. Si ricorda di
tante emozioni vissute guardando un film di Alberto Sordi, “M’ai provocato
e io ti distruggo, maccarone!”, oppure quella scena comica degli spaghetti
messi in tasca da Toto’ mentre si trova in piedi sulla tavola, nel film “Miseria
e Nobiltà”. Insieme, in questi libri, Gordiano e io, abbiamo contribuito a
comporre un profilo dell’identità italiana, nutrita parimenti dalle
ghiottonerie materiali del cibo e dai sogni dell’immaginario filmico. Abbiamo
anche creato un altro Test “Dimmi che film vedi e ti dirò chi sei”».
Quali
sono gli elementi cruciali per definire un buon piatto?
«Per definire un bel piatto si deve affiliare ai colori
della bandiera italiana: il verde, il bianco e il rosso! Perché prima del senso
del gusto, è quello dello sguardo che rimane il più importante. Dopo si può
aggiungere il giallo o arancio, un po’ di blu o viola. Diventa importante
l’impatto visivo del cibo e le emozioni che esso può suscitare nella cucina
contemporanea degli Chef stellati, dove oltre al gusto delle pietanze e alla
ricercatezza degli ingredienti contano anche l’aspetto e l’arte dell’impiattare.
Come me, tanti grandi Chef stellati frequentano i Musei europei per creare nei
loro piatti abbinamenti cromatici gradevoli e raffinati, alla Mirò, alla
Picasso, alla Gauguin o in paragone a tanti artisti dell’Impressionismo. I
sensi sono la nostra guida in tutte le attività della vita e anche nel campo
dell’alimentazione, la nostra percezione può venirci in aiuto, sia per
permetterci di gustare il sapore di un piatto prelibato, sia per apprezzarne
l’aroma e il profumo, sia per godere della sua vista. L’aspetto e il colore
favoriscono il nostro appetito e ci invitano all’assaggio suscitando delle
emozioni che ci faranno apprezzare ancora di più il suo sapore».
Prévert
e Modigliani, perchè hai scelto questi due artisti per guidare il lettore verso
le tradizioni gastronomiche francesi?
«Questi due personaggi celebri - che hanno vissuto a Parigi
– mi sono amici dall’infanzia. Li ho frequentati così tanto da amarli davvero come
amici del cuore. Sono stato fiero di aver potuto scrivere le loro biografie e
quelle delle donne da loro amate. Tutte queste donne hanno avuto un ruolo
importante, come ispiratrici e Muse dei due artisti maledetti. La loro
celebrità, come sempre, è venuta troppo tardi, dopo la loro morte e la lunga
malattia. Ma i due artisti amavano la gente, la città di Parigi, i veri
quartieri del vecchio “Paname”, Montmartre, Montparnasse, Quartier
St-Germain-des-Prés, le Quartier Latin. Il lettore leggendo questi due libri
potrà scoprire belle passeggiate da fare nei quartieri nei quali hanno vissuto
questi due geni e il loro amici artisti della loro epoca. Ma chi dice camminare
dice anche restaurarsi. La parola viene da Parigi dopo la Rivoluzione francese
quando tanti cuochi hanno aperto locali dove la gente poteva “restaurarsi”
durante tutte le ore, creando così il nome di Restaurant. Il lettore italiano
non avrà più paura di scegliere un piatto a Paris leggendo i libri e saprà cosa
mangiare nei famosi “Bouillons” o nelle
“Brasseries” i veri piatti squisiti della tradizione della gastronomia
parigina».
Pasolini
e il suo tempo, quali luoghi frequentava?
«Numerosissime sono le zone di Roma che mantengono ancora
dei forti collegamenti con la figura di Pasolini, dalla Tuscolana alla
Garbatella, dalla baracche del Mandrione alle periferie di Rebbibia, da
Monteverde alla chiesa dell’Eur… Per lui,
come per me, quando venivo a trovare la mia famiglia a Roma nel quartiere di
Centocelle e della Tiburtina, la Città Eterna non era solo il Colosseo, i Fori
Imperiali, San Pietro o Piazza Navona. La mia Roma degli anni ’70 era anche il
Pigneto, la Magliana. Soltanto dopo frequentavo il centro storico di Roma e
sempre a piedi. Se possibile senza mappa per perdermi nei vicoli tipici di
Trastevere. Consiglio di visitare tutte le opere d’arte della Street-Art
in onore di Pasolini nei diversi quartieri della capitale e passeggiare nelle
strade dove ha vissuto il poeta Pier Paolo. E come dicevano i miei zii romani,
“Stai a fa’ er giro d’er Peppe!”. Sì, come San Giuseppe di Nazareth, da
qui il dubbio sulle capacità di orientamento nel suo viaggio durante il ritorno
di Betlemme. Perciò vi suggerisco di perdere tempo a fare un gran giro a Roma -
anche se siete esausti - finirete a cenare nelle favolose trattorie romane,
esattamente come faccio io».
Pasolini
e i suoi amici, cosa raccontano di lui?
«Pier Paolo Pasolini, diceva Dacia Maraini, «era
una persona stranamente divisa: nella vita privata era di una mitezza, di una
dolcezza, con quell’accento veneto e una voce sempre dolce e soave. Ma quando
scriveva, ecco che diventava duro, severo, e formulava i giudizi più aspri. Ai
miei occhi prevaleva l’immagine di soavità, anche se, mi rendo conto, difficile
da conciliare con l’immagine aggressiva e politica di chi lo conosceva per i
suoi scritti». Pasolini ha avuto relazioni d’amore con tante donne di
qualità e forte personalità. Relazioni non carnali, ma di forte amore, degne di
essere paragonate alle relazioni tra innamorati. Diverse donne hanno apprezzato
i momenti vissuti con lui, Silvana Mauri Ottieri, la Callas, Silvana Mangano - che
ricordava la madre di Pier Paolo -, Laura Betti, Elsa Morante. Oriana Fallacci
ha scritto una sconvolgente lettera dopo la sua morte: «Diventammo subito
amici, noi amici impossibili, cioè io donna normale e tu uomo anormale, almeno
secondo i canoni ipocriti della cosiddetta civiltà, io innamorata della vita e
tu innamorato della morte, io così dura e tu così dolce… anche se esisteva una
nascosta ferocia sui tuoi zigomi forti, sul tuo naso da pugile, sulle tue
labbra sottili, una crudeltà clandestina»».
Come
invoglieresti un lettore a leggere il tuo ultimo libro?
«In questo libro vogliamo proporre al lettore una bella
passeggiata nella città di Roma con un amico che si chiama Pier Paolo. Scoprire
quartieri della Città Eterna leggendo le sue poesie, i suoi racconti, i suoi
romanzi. Ritrovare i luoghi dove sono state girate tante scene dei suoi film,
capire perché denunciava la distruzione di certe zone tipiche della romanità delle
periferie urbanizzate dall’edilizia popolare che hanno radicalmente trasformato
il volto e l’anima della periferia romana. Poi vogliamo proporre un Tour
gastronomico per suggerire ai migliori palati la storia e le origini della vera
cucina romana. Quindi, et voilà, una guida
di luoghi e sapori, sedersi nelle trattorie frequentate da Pasolini che
esistono ancora, sentire la sua presenza negli stessi decori dell’epoca, con
gli stessi profumi dei piatti tipici, con suggestioni da grande schermo. Come
nei suoi film, in quell’ambiente Pasolini aveva trovato un’umanità popolare
dalla quale si era sentito irrimediabilmente attratto al punto da metterla al
centro dei suoi romanzi e scenari».
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