Quando gli dèi Anunna camminavano sulla terra
Il prossimo giovedì 24 agosto 2023 alle ore 20,30 a Cagliari (Via Adige, n. 11), Sa Defenza presenterà la conferenza Tra Storia e Mito: Quando gli dèi Anunna camminavano sulla Terra di Victor Nunzi, autore dell’opera La regalità degli dèi.
Saranno presenti all’incontro oltre all’autore, Valter Erriu per Sa Defenza, la poetessa Ecuadoriana Veronica Paredes che eseguirà alcune letture.
Prima dell’incontro Sa Defenza effettuerà una intervista a Victor Nunzi alla Necropoli di S’acqua salida e di Corongiu, grazie alla concessione del Comune di Pimentel.
Gli organizzatori dell’incontro hanno voluto mettere in correlazione l’antica civiltà sumera con quella dei nuragici attraverso il suggestivo sito di Domus De Janas situato in località Pranu Efis, nel paesaggio lievemente ondulato della Trexenta: due aree poste a m 150 di distanza costituite complessivamente da 7 Domus, dove si può constatare che il colore rosso e la protome taurina sono i segni più comuni della religiosità neolitica sarda.
In una terra come è la Sardegna dove ci sono importanti resti di una civiltà antichissima, la presenza di uno studioso come Victor, appare una connessione imprescindibile.
Victor Nunzi, oltretutto è nato a Cochabamba, in Bolivia – un altro paese culla di importantissime civiltà – ma vive a Roma quasi da sempre. È giovanissimo, ha appena 33 anni, ha una formazione classica ed è laureato in Studi Europei alla facoltà di Roma Tre – Scienze Politiche. Si tratta di un ricercatore indipendente, che si è appassionato allo studio della cultura del Vicino Oriente antico e dei documenti da questa tramandatici, grazie a un libro portato in casa un giorno da sua madre, bibliotecaria. La sua ricerca nel campo dell’archeologia misterica è sempre basata su un approccio storico. Il suo obiettivo è quello di definire una rivisitazione delle antiche cronologie per comprendere la successione degli eventi del passato.
Ho sempre pensato che dietro a un racconto mitologico ci possa essere qualche base di verità storica oltre che simbolica, perciò sono perfettamente d’accordo con l’affermazione che nel Mito ci possa essere una “confusa e frammentata mente collettiva di fatti realmente accaduti”. In ogni caso le vicende degli dèi sono sempre accattivanti, si somigliano in molte culture antiche e non finiscono mai di svelarci storie piene di magia e mistero.
Cerchiamo di comprendere meglio gli argomenti trattati attraverso un’intervista a Victor Nunzi.
Un giorno tua madre ha portato a casa un libro di Zecharia Sitchin, “Il libro perduto del dio Enki”, e la tua vita è cambiata, quali corde ha scosso in te quest’opera?
«Nell’estate del 2018 come ricordato ebbi modo di leggere in un primo momento il libro. Dapprima la lettura, anche in ragione del periodo, non fu attenta come invece lo divenne mesi dopo. Recuperai infatti l’opera di Sitchin nell’inverno dello stesso anno, capii di essere dinnanzi a un enorme lavoro di ricompilazione di una storia che mai prima avevo affrontato: la storia delle antiche civiltà della Mesopotamia e delle loro divinità; cosa mi affascinò allora, questione di presente e continuo interesse? Sicuramente l’aroma di antichità delle informazioni riportate, che per un amante della storia è come il miele per le api, e ancora di più l’essere dinnanzi ad un testo – si badi da subito che si tratta comunque di una versione romanzata cavata e ricomposta anche con l’ausilio di numerosi fonti antiche -, che aveva il coraggio di restituire al lettore vicende ricomprese in modo possibilmente equabile in centinaia di migliaia di anni. L’opera e le opere ulteriori scritte dall’autore, da un decennio scomparso, hanno fatto vibrare la corda della curiosità per una parte della storia le cui fonti ci provengono dal Vicino Oriente antico che oggi possiamo, certamente con fatica e pazienza, provare a meglio comprendere e ricostruire anche alla luce di ipotesi extra accademiche».
Cosa racconta di nuovo la tua analisi rispetto all’opera di Sitchin?
«La mia personale indagine in relazione ai temi introdotti e tramandatici da Sitchin vuole prima di ogni altra cosa verificare e, ove possibile, fare maggior luce sulla cronologia relativa agli eventi del tempo antico se non antichissimo – si potrebbe dire di quel tempo in cui “gli dèi camminavano sulla Terra” – relegato ovviamente nel mito ma dalle sfumature storiche. Già l’autore, Sitchin, in sue diverse opere e in definitiva nell’introdotto “Libro perduto del dio Enki” ha più volte tentato di restituire ai suoi lettori chiari indirizzi sul “quando” gli eventi della lunga storia delle divinità potevano essere accaduti. La cronologia fornita dall’autore aveva ed ha come punto nodale, che è anche un limes storico ideale per larga parte delle antiche culture, l’evento noto come Grande Diluvio o Diluvio Universale. Sitchin, come larga parte della ricerca indipendente, aveva inquadrato questo evento intorno all’11.000/10.500 a.C.. All’esito della mia personale indagine – che ha preso le mosse oltre che dalle opere di Sitchin, dalle fonti rese note e consultate dallo stesso Sitchin e da ulteriore documentazione a corredo -, è ipotizzabile una nuova data per il citato evento che fu il Diluvio Universale prossima al 36.500 a.C.. Retrodatare il Diluvio Universale, per quanto possa apparire solo un mero gioco matematico, un gioco necessitante comunque della dovuta attenzione, nei fatti dischiude ad un nuovo ed alquanto consistente periodo storico, sino ad ora mai preso in considerazione nemmeno dalla ricerca indipendente. Riconsegnare al mito e forse anche alla storia, la storia più antica, un arco temporale di circa 26.000 anni, potrebbe in futuro supportare le indagini nei diversi campi e le analisi già oggi in fieri».
Quale metodologia hai utilizzato per elaborare la tua teoria?
«L’indagine che come già anticipato ha preso le mosse dalle opere di Sitchin si è poi consolidata grazie agli approfondimenti condotti su documentazione specialistica ed in primis su quella avente ad oggetto le c.d. Liste reali sumere, elenchi recanti i nomi dei sovrani delle città e degli anni di regno da questi esercitati nei tempi antidiluviani e postdiluviani. Ulteriore documentazione, anche di derivazione non squisitamente mesopotamica – biblica ed extrabiblica – è stata analizzata con particolare riguardo ai possibili riferimenti cronologici presenti. A supporto di una più attenta verifica sempre delle ipotesi espresse dalla ricerca indipendente è stata condotta altresì un’analisi del ciclo della precessione, un tempo ciclico che si ripete per periodi di 25.800 anni».
Nel tuo libro citi un poema teogonico e cosmogonico in lingua accadica, l’Enūma eliš, 7 tavolette, 2092 versi, appartenente alla tradizione religiosa babilonese. Perché ritieni che questa teomachia sia così importante?
«Il testo dell’Enūma eliš è oggi tra le opere più importanti che ci deriva dalla tradizione babilonese e certa copia di testi più antichi. Pur non essendovi precisi riferimenti cronologici all’interno dell’opera, questa, secondo l’autore azero Sitchin, potrebbe raccontare di un evento all’origine dell’attuale composizione del sistema solare. Sitchin ritiene nei suoi studi che il nome delle principali divinità celesti presenti all’interno del testo nel numero di 12 siano in realtà da identificare con gli attuali Corpi celesti (sole e luna inclusi) costituenti il nostro sistema solare con una ulteriore particolarità – sarebbe stato noto ai redattori dell’opera il nome di un ulteriore 12° pianeta identificabile con il nome di Nibiru o Marduk. L’Enūma eliš riveste comunque, accoglibili o meno che siano le ipotesi formulate da Sitchin, un’importanza chiave per meglio comprendere alcuni dei fatti e degli eventi che condussero alla “vittoria” e relativa celebrazione della divinità Marduk, divinità poliade della città di Babilonia il cui culto si consolidò nel corso del 1800 a.C.».
Chi era il dio Marduk di cui si raccontano le imprese?
«Il dio Marduk, il cui nome significa “vitello del sole” è, appunto, la divinità più importante del pantheon mesopotamico nel corso del periodo babilonese e più diffusamente conosciuta come Bel. Il culto di Marduk assume chiari tratti enoteistici in quanto la divinità si qualifica come prima tra le altre nell’opera Enūma eliš, un testo di celebrazione del suo ruolo».
Chi erano gli Anunna, che nei testi sumeri sono noti come A.Nun.Na.ke?
«Nel corpus testuale sumerico il termine Anunna definisce il gruppo delle divinità del pantheon mesopotamico, ma può anche definire il pantheon di una singola città, come ad esempio l’Anunna di Eridu o l’Anunna di Nippur. Si precisa che le divinità più importanti, invece, avevano ciascuna un proprio nome riassuntivo ed identificativo anche del ruolo. Gli Anunna sono quindi gli dèi della tradizione mesopotamica noti nelle altre tradizioni con molti nomi come ad esempio Neteru e Elohim rispettivamente nella tradizione egizia o ebraica».
Citi spesso anche un altro poema che ha quasi lo stesso titolo del tuo libro, quale vicenda di questo poema è cruciale per la tua teoria?
«Il poema teogonico che è stato tramandato dalle popolazioni hurrite e catalogato Gotterkonigtum più noto come “La Regalità nel Cielo”, al pari dell’Enûma eliš, si ritiene sia una copia di testi più antichi. La Regalità nel Cielo descrive le vicende e gli scontri che in tempi ancestrali si verificarono tra le prime divinità. Il primo di questo antichi dèi era Alalu. Il testo è particolarmente interessante poiché indica al lettore il periodo in cui Alalu regnava nei cieli, 9 anni – da intendersi come anni divini o shar corrispondenti ciascuno a 3600 anni. Alalu regnò quindi nei cieli per circa 32.400 anni».
Nella tua proposta cronologica distingui due periodi, antidiluviano e diluviano, nel primo dei quali il computo del tempo ha come unità di misura il shar, pari a 3.600 anni, per cui un sovrano che abbia regnato 10 shar in realtà avrebbe condotto il suo regno per ben 36.000 anni, come è stato possibile?
«I documenti prima menzionati e principali oggetto di analisi, le Liste reali sumere e in primis le Liste WB 444e WB 62, unitamente alle informazioni derivanti dalla cronaca dello storico Berosso, il Babylonica, pervenuteci per il tramite di autori successivi, descrivono i nomi dei sovrani, i nomi delle città in cui regnarono e gli anni di regno per ciascuno di questi. È stato interessante notare che, nel rispetto dell’ordine di misura sessagesimale appartenente all’antica tradizione sumerica, per quanto concerne il periodo antidiluviano il valore numerico sorprendente e principalmente utilizzato dai redattori per indicare gli anni di regno di ciascun sovrano è il shar (o moltiplicatori/frazioni di questo) che letteralmente significa anche “numero 3600”. Secondo quanto emerge dall’analisi delle Liste reali, i primi sovrani, nel numero di dieci, nel periodo antidiluviano regnarono per circa 120 shar pari a circa 432.000 anni. Queste informazioni matematiche derivano dalle attente analisi condotte nelle opere dei migliori assiriologi T. Jacobsen, J. J. Finkelstein o S. Langdon nel suo The Weld-Blundell Collection. Vol. 2, Historical inscriptions: containing principally the chronological prism, WB. 444; ciò che rimane inesplorato d’altro canto è la possibilità, in parte analizzata da Sitchin, di applicare queste informazioni, ad oggi solo appannaggio del mito – e ritenute mero oggetto di fantasia – ad un ipotetico inquadramento cronologico».
Cosa ha apportato all’indagine sugli Anunna l’opera Babylonia del sacerdote Berosso?
«La cronaca dello storico Berosso, databile al 300 a.C. circa, il Babylonica o Storia di Babilonia, la cui memoria è sopravvissuta grazie alle opere di compilatori successivi, si inserisce tra la documentazione, in tale caso di derivazione greca, redatta con lo scopo di conservare la memoria di fatti ed eventi ancestrali. L’opera è di certa importanza poiché come le Liste reali restituisce nozioni sugli anni di regno dei sovrani antichi che governarono prima e dopo il Grande Diluvio. Berosso inoltre fornisce informazioni e fatti – per cui è maggiormente citato -, riguardo alla, o alle, figure degli Oannes (greco: ‘Ωάννης), il saggio uomo/pesce che, seguito da altri, “apparve dal Mar Eritreo, in un luogo adiacente a Babilonia. Tutto il suo corpo era quello di un pesce, ma una testa umana gli era cresciuta sotto la testa del pesce [-]”».
An, Enlil, Enki, una sorta di Trinità delle divinità sumere, che ruolo assumono nel pantheon delle divinità Anunna?
«Le principali divinità del pantheon sumero accadico e mesopotamico in generale e deputate alla determinazione dei destini sono An, e i suoi due figli principali Enlil ed Enki. La vicenda, quasi per intero, degli Anunna è nei fatti la storia di queste divinità e, per la precisione, del frastagliato rapporto tra i due figli di An, operanti sempre sotto la vigile osservazione da parte del padre. L’importanza di queste tre divinità, nelle quali è identificabile la prima triade divina, era così significativa che il più importante compendio astronomico/astrologico scritto in Mesopotamia di derivazione neo-assira, il MUL.APIN, nel nominare 66 stelle/costellazioni le ripartisce in tre “sentieri”: il sentiero di Enlil, composto dalle 33 stelle/costellazioni più settentrionali; il sentiero di Anu, composto da 23 stelle/costellazioni, e il sentiero di Ea, composto dalle 15 stelle/costellazioni più meridionali».
Come viene rappresentato il dio Enki e perché?
«Il dio Enki letteralmente “signore della terra”, è il figlio primogenito di An e della dea delle acque primordiali Namma, informazione riscontrabile oltre che nelle opere di Sitchin anche in diversi testi di derivazione mesopotamica come l’elenco delle divinità noto come l’An = Anuum o come nel poema “ud reata” (o poema di Enki e Ninmah). Enki è la divinità delle “acque profonde”, le dolci acque del sottosuolo, l’abzu. A testimonianza di ciò, del suo ruolo e della sua importanza per la terra di Sumer nel “sigillo cilindrico di ad-da” Enki è raffigurato con due corsi d’acqua il Tigri e l’Eufrate che fuoriescono dalle sue spalle».
Le divinità principali che regnarono sulla terra nelle varie epoche, erano sempre accompagnate da un ABGAL o NUNME, con quale ruolo?
«La pubblicazione ad opera di Johannes Jacobus Adrianus Van Dijk di un testo del periodo seleucide (300 a.C. circa), rinvenuto nel tempio Bìt Rès dedicato al dio An, nella città di Uruk e noto come Uruk List of Kings and Sages ed un documento noto come Bit Meseri, consentono di aggiungere un ulteriore tassello all’analisi dei sovrani del periodo antidiluviano. Attraverso la lettura di questa documentazione, sappiamo che alcuni dei primi sovrani elencati nelle Liste reali avevano al loro fianco un ab.gal o nun.me, un Visir, letteralmente un saggio. Il ruolo di ciascuno di questi saggi, sinteticamente indicato nel testo Bit Meseri ne definisce l’importanza sottostante anche alla luce dell’identificazione di ciascuno di essi con un nome specifico. Possiamo leggere ad esempio che il primo nun.me Uanan fu colui che eseguì “i piani del cielo e della terra”».
Nel “Poema di Atraḫasis”, che significa “sommamente saggio”, si raccontano le gesta di questo eroe protagonista del Diluvio universale. Cosa c’è in comune con il Noè della Bibbia?
«Il Poema di Atraḫasis tassello fondamentale della letteratura mesopotamica fornisce, tra le altre informazioni, nozioni delle imprese dell’Eroe tratto in salvo dalle divinità dal Diluvio Universale. Queste vicende sono del tutto simili, ma di certo più ampio respiro, a quelle che nel testo Biblico sono le imprese di Noè. I dettagli forniti nel Poema di Atraḫasis circa il rapporto con le divinità del protagonista (come il Noè biblico) e gli eventi che precedettero la richiamata catastrofe consentono di avere uno spettro maggiore in relazione alla vicenda ed anche rispetto alle possibili motivazioni della stessa, rendono più comprensibile il mito biblico».
Come possono essere utili questi studi sul mondo più antico, per comprendere questo nostro presente confuso come una Babele?
«Fare luce sul passato, su passato di tale natura, ritengo possa essere interessante come sempre per capire le possibili primarie strutture sottostanti al nostro presente. L’ordine, l‘organizzazione e le vicende rilevabile dalle letterature mesopotamiche in relazione al mondo delle divinità ci parla di una realtà non molto differente dalla nostra; non per il fatto che – ovviamente alla luce dell’ipotesi condotta – il mondo delle divinità sia un prodotto dell’uomo ma perché è l’umanità di converso ad essere un prodotto del mondo delle divinità».
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