Gli Esseri del Regno di Fantasia non si arrendono mai, che siano umili fanciulle o giovani coraggiosi, splendide principesse o nobili principi, piumosi pulcini o soffici aquilotti… Fatine ed elfi, vecchine sapienti e bimbi giudiziosi, uccelli variopinti e farfalline leggiadre si aggirano nel Mondo di Fata Immaginazione, Tessitrice dei nostri Sogni…
I libri di Patrizia Boi
sabato 30 marzo 2024
giovedì 28 marzo 2024
Santino e Gennaro Spinelli in concerto al Teatro Alla Scala di Milano il 10 aprile 2024
Due musicisti Rom di fama internazionale in concerto al Teatro Alla Scala di Milano il 10 aprile.
LA SCOMPARSA DI MAJORANA - A TEATRO CON LEONARDO SCIASCIA - RIDUZIONE TEATRALE E REGIA DI FABRIZIO CATALANO
LA SCOMPARSA DI MAJORANA
A Teatro con Leonardo Sciascia
DAL 12 AL 14 APRILE 2024
Venerdì e Sabato ore 21,00 – Domenica ore 17,30
dall’omonimo romanzo di Leonardo
Sciascia
Trasposizione
teatrale e Regia Fabrizio Catalano
Con Loredana
Cannata, Alessio Caruso, Roberto Negri, Giada
Colonna
Scene e Costumi Katia
Titolo – Musiche Fabio Lombardi
Produzione Associazione
Culturale LAROS di Gino Caudai
In una stagione come quella che stiamo vivendo,
caratterizzata dallo sfaldamento dei valori morali, dall’esaltazione dell’ego,
dall’ansia del profitto e dalla deriva della scienza, è necessario rievocare
figure come quella di Ettore Majorana. Scomparso nel 1938, partito in nave da
Palermo ma apparentemente mai approdato a Napoli, il giovane e promettente
fisico siciliano, chiuso in se stesso e concentrato su studi di cui non parlava
con nessuno, aveva forse intuito prima d’ogni altro la strada per la creazione
di una devastante arma nucleare; e ne era rimasto atterrito, e aveva voluto
estraniarsi dal mondo prima che questo precipitasse nel baratro dell’era
atomica. Questa, almeno, è la tesi di fondo di uno dei maggiori autori del
‘900, Leonardo Sciascia, che allo scienziato e al suo dramma interiore ha
dedicato uno dei suoi libri più illuminanti: La scomparsa di Majorana. E questa
vuole essere la nostra convinzione – oggi, a ottant’anni di distanza dei
tragici eventi del ’38 e a trenta dalla morte dell’autore de Il giorno della
civetta – perché a volte, più che la laboriosa ricostruzione di eventi e
dettagli, conta il senso delle cose. E il senso della vicenda di Majorana è che
non c’è futuro per l’umanità senza l’etica, senza la sincerità, senza la
poesia. Questo spettacolo è un’indagine poliziesca, è un thriller ad
orologeria, è un sogno ad occhi aperti. Una notte d’agosto del 1945, una
località italiana che non viene mai definita, le rappresaglie dei partigiani,
il caos. Uno studio, in un ospedale di provincia; una donna che, dopo aver
ucciso da partigiana, è tornata a indossare il camice bianco: per medicare, per
guarire. Un uomo, avvolto in una tunica da certosino, che rifiuta di rivelare
la propria identità. Un commissario di pubblica sicurezza che crede di
riconoscere, nei tratti del monaco, quelli di Ettore Majorana, al quale invano
ha dato la caccia per tanto tempo. Laura Fermi, la moglie dell’illustre premio
Nobel, chiamata a identificare il giovane scienziato dileguatosi nel nulla.
Questi quattro personaggi, per tutta la notte, oltre l’alba, fino al tragico
scioglimento dell’enigma, daranno vita ad una sorta di processo: dove l’intruso
si trasformerà da imputato in accusatore, da inquisito in voce della coscienza.
Poco alla volta, emergeranno i tormenti di un genio che avrebbe potuto cambiare
il destino dell’umanità, e che invece ha preferito essere un ragazzo schivo,
per nulla competitivo o in cerca della gloria. Spesso isolato, con rarissimi
amici. Alcuni di questi, nella Germania che nel ’45 ha appena perso la guerra.
Ciò ha alimentato, nei decenni successivi, la detestabile ipotesi che Majorana
avesse simpatie naziste. Non le aveva – le sue lettere in proposito sono
abbastanza chiare – come non le aveva Heisenberg, che di Majorana era stato
mentore e guida nell’ambiente dell’Università di Lipsia, dove si discuteva di
fisica come di filosofia e dove Ettore era davvero a suo agio. Sì, perché
questa storia è anche la dimostrazione del fatto che non è così semplice
dividere il mondo in buoni e cattivi: e se Majorana fuggì di fronte all’orrore
della bomba atomica, Heisenberg, che pure avrebbe potuto fabbricarla per
Hitler, non spinse mai le sue ricerche fino alle estreme conseguenze. E questo
mentre altrove – negli Stati Uniti che avevano la missione di riscattare il
pianeta – Oppenheimer, Fermi e il gruppo del Progetto Manhattan, come sotto
ipnosi, schiavi dell’ambizione e incuranti delle vittime che la loro invenzione
avrebbe provocato, alacremente lavoravano all’arma di distruzione di massa, che
consegnarono agli alti comandi dell’esercito americano con tanto d’istruzioni
sulle città che avrebbero dovuto essere colpite! Insomma, per dirla con
Sciascia: si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati
che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e
furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di
libertà. In un contesto come quello attuale, il teatro deve diversificare la
propria offerta e accendere il dibattito, stimolare domande e riflessioni,
suggerire idee e punti di vista inediti. Deve calarsi nella realtà:
scandagliare il passato e contribuire a migliorare il futuro. Una storia vera
come quella di Majorana – il tormento struggente di un individuo che vorrebbe
salvare il pianeta dalla catastrofe – è al contempo un susseguirsi di emozioni
e un monito per l’avvenire. Ognuno di noi può compiere un piccolo gesto, per
proteggere l’umanità dall’autodistruzione. Ognuno di noi ha il diritto e
l’obbligo di farlo.
mercoledì 27 marzo 2024
“Il mio posto del cuore” di Francesca Meucci
Quando ho letto il
libro “Il posto del cuore” di Francesca Meucci, ho pensato subito
alle mie vacanze in Sardegna quando ero piccola, a casa dei nonni materni.
Non tutti possiedono l’esperienza
della campagna e della vita contadina, di quella esistenza semplice e piena,
fatta del sorgere del sole e dei tramonti serali, del tempo scandito dal giorno
e dalla notte, dalla luce e dall’oscurità, un tempo immenso che si riempiva di
mille azioni ed emozioni, un tempo pulito fatto di vicende giornaliere legate
alle erbe e agli animali da cortile, alle scorribande in campagna e alle
galoppate a cavallo. E tutto questo poteva avvenire solo in un luogo, lontano
dal chiasso mondano, avvolto nei profumi della natura, dei fiori e dei frutti
della terra, dell’odore di pane caldo appena sfornato, di zuppe fumanti, del
sapore degli intingoli che solo i nostri sensi infantili sapevano percepire, dei
colori sfolgoranti degli orti, degli effluvi degli escrementi usati come
concimi.
Un posto del cuore per
l’appunto, situato nel nulla, lontano da villaggi e città, dove c’è una casa
enorme zeppa di cose interessanti, di bauli e di oggetti antichi, di curiosità
e di misteri, di vite trascorse nella semplicità e nella serenità, respirando l’aria
sottile, ripetendo gesti consueti, ascoltando il canto del gallo la mattina e
lo starnazzare delle oche, attraversando notti stellate e pervase dall’abbaiare
lontano e vicino dei cani e dei lupi, un mondo infinito da poter raccontare ai
propri figli o ai posteri.
Questo è il cosmo
descritto da Francesca Meucci nella sua opera, un universo di colori
variopinto di ricordi, insegnamento del Tempo Ritrovato di Proust,
un posto forse senza tempo che riempie uno spazio infinito nella memoria, che
giganteggia nelle nostre emozioni e rende minuscolo l’oggi fatto di corse inutili
per raggiungere obiettivi assurdi, di relazioni virtuali e fredde, di viaggi
nella fretta e nella dimenticanza.
E in questo posto del
cuore non si è perduto il valore dell’accoglienza così cara all’Autrice, di una
dimora aperta, fatta di pareti trasparenti, colma di amici e di ricordi, di
cibi condivisi, di pranzi cucinati insieme, della festa gioiosa con i propri
cari, del profumo della carne arrostita e dei sughi fragranti della nonna offerta a chiunque, dei
giochi con i cugini, delle lotte e dei litigi con i ragazzi del paese, della
campana del campanile che suona per richiamare i paesani alla funzione
religiosa, dove un prete a volte pazzo, a volte un po' spretato, oppure
originale riesce a far sorridere anche il cuore di una ragazzina assai poco
incline alla bigotteria delle chiese.
Per chi abita la
metropoli dove ognuno paga il prezzo che consuma, la solidarietà e la
condivisione rappresentano un altro modo di esistere, perchè anche il poco si
consuma insieme, ad ognuno una piccola parte che è abbastanza, senza arroganza,
senza prevaricazione, senza guerre impensabili per il controllo di terre,
paesi, città, stati, continenti, universi e denari che quando si passerà all’altra
dimensione potranno essere solo un peso che non riesce a farci sollevare dall’abisso
della nostra negligenza all’altezza dei cieli infiniti, dell’Empireo e dell’Iperuranio.
Patrizia Boi
https://www.amazon.it/mio-posto-del-cuore/dp/B0CVJ6MJ7F