Sembrerebbe il nome di un regista italo-americano, invece, Peter Marcias, è un oristanese doc, uno di quelli innamorati della sua terra, del suo mare, della sua gente come pochi, ma nello stesso tempo con un grande amore verso la scoperta del mondo. Torna spesso nella sua isola ma gli altri paesi lo affascinano immensamente e la sua nave ormai ha preso il largo diretta oltreoceano. Per noi italiani sarebbe ancora molto giovane, ma, come sostiene lui stesso, in America sarebbe già maturo per i più grandi film.Il regista (nato a Oristano nel 1977, ma cagliaritano d’adozione), è già autore di diversi Lungometraggi quali
Bambini –
ep. Sono Alice (2006), Ma la Spagna non era cattolica? (2007), Un Attimo Sospesi (2008), Liliana Cavani, una donna nel cinema (2010), dei due film di successo
I bambini della sua vita (2011) e
Dimmi che destino avrò
(2012), e di numerosi cortometraggi tra cui il capolavoro
Il mondo sopra la testa (2012), un film d’animazione sul tema dell’omofobia, prodotto dalla
Capetown srl e che ha partecipato a più di venti festival nel mondo. La sua vera fortuna, però, la sta facendo proprio l’ultimo film
Dimmi che destino avrò, dove magistralmente ha diretto Salvatore Cantalupo, già visto in «Gomorra» di Matteo Garrone, è l’ottima
Luli Bitri, attrice albanese pluripremiata per il film
Amnesty di Bujar Alimani (2011), efficacissima nel ruolo di Alina.
Distribuito in questi mesi nei cinema italiani, con grandi apprezzamenti da parte di critica e pubblico, approderà a Londra il 4 settembre al
Raindance Film Festival, il 24 ottobre il film proseguirà la sua tournée verso New York, in concorso unico europeo al
Chelsea International Film Festival e poi ancora in Germania ai primi di novembre, in concorso all’
International Film Festival Mannheim-Heidelberg, portandosi dietro Peter e insieme l’attrice protagonista
Luli Bitri.
Dimmi che destino avrò ha già partecipato al
Marchè di Cannes 2013 grazie a
Cosimo Santoro e la sua
The Open Reel e ha interessato molti distributori esteri e soprattutto Festival. In Italia è distribuito dalla Pablo di Arcopinto (è uscito al cinema lo scorso 29 novembre, dopo la presentazione ufficiale al
Torino International Film Festival) ed ha fatto un ottimo lavoro di divulgazione, se si pensa che quasi 35mila persone tra sala e
web (l’uscita natalizia con Repubblica.it) hanno visto l’opera.
Il film è nato da un’idea dello sceneggiatore
Gianni Loy, docente universitario impegnato da anni nella tutela dei diritti della popolazione rom, che ha condotto il giovane regista nei loro campi stimolando la sua curiosità e trasmettendogli la sua profonda conoscenza di quel mondo. L’atmosfera che si respira nel film è fatta di silenzi, di disordine, di luoghi colorati colmi di cianfrusaglie, del calore delle stufe sempre accese, contrapposti a straordinarie inquadrature del mare, delle spiagge, degli scorci della città di Cagliari.
Dopo un’attenta e precisa selezione fatta nei campi stessi, grazie alla Fondazione “
Anna Ruggiu”, gli abitanti dei villaggi rom sono stati assunti in tutti i ruoli, come attori, ma anche come aiuti alla scenografia, all’organizzazione, al
catering con un regolare rapporto di lavoro. Questo ha creato un intenso scambio tra le comunità rom e la
troupe cinematografica
in particolare con l’affascinante protagonista Alina, che si è immersa con professionalità e umiltà nella cultura del campo per diventare una di loro.
“Quel modo di vivere non strutturato e con poche certezza, è una qualità che, per come si sta evolvendo la società, dovremmo conoscere meglio tutti noi che non ne abbiamo esperienza”, commenta il regista. “Le comunità rom hanno dinamiche di spostamento e di organizzazione che sono molto poetiche hanno una sorta di non precisione che genera un disordine metodico”, prosegue Marcias, “le scenografie le hanno generate artisticamente loro stessi, io le ho fissate rispettosamente sulla pellicola”.
Peter Marcias è un regista aperto e sensibile alle differenze, assolutamente convinto che attraverso il dialogo delle varie diversità si possa allargare il nostro orizzonte spesso troppo limitato dalla visione univoca di una stessa cultura. Per questa ragione lui non è mai giudicante ma semmai attento a cogliere dibattiti che possano generare crescita.
Dei suoi film, sostanzialmente, appassionano le storie e i modi attraverso cui sono raccontate, talvolta facendo uso di inquadrature poetiche, talvolta della tecnica del cartone animato per alleviare la pesantezza dei temi trattati, talvolta servendosi del bianco e nero colorato per dare al film la sensazione di provenire da un tempo antico dove la semplicità, la delicatezza e la spontaneità erano gli ingredienti fondamentali del buon cinema. La trama della storia è meglio non raccontarla perché ogni film è un viaggio di scoperta, affidiamoci allo sguardo attento del regista e alla grande voglia di mettersi in gioco dei buoni attori che ne calcano la scena. Piace pensare che “il destino” di ognuno sia un film aperto a ogni possibile sviluppo, come piacerebbe forse anche a Peter.