LA ROSA NON
CI AMA
Teatro Lo
Spazio
Sold out al Teatro Lo Spazio
per lo spettacolo “La rosa non ci ama” del drammaturgo napoletano Roberto
Russo, andato in scena dal 22 al 25 febbraio 2024, con la Regia di Gianni
de Feo, interprete dell’opera insieme all’attrice Cloris Brosca.
La scena è scarna, in essa
giganteggia solo una specie di installazione pittorica, un busto di cristallo allacciato
con fili colorati, sormontato da due ali dorate a forma di cuore: un grande
cuore con tutti i suoi legamenti che può volare nel mondo dorato dell’amore ma
che può anche essere imprigionato in una tela di ragno variopinta, contorta, pericolosa.
Due leggii ai lati, ricoperti da scialli bianchi e rossi, completano l’opera dell’artista
Roberto Rinaldi a cui è stato affidato l’impianto scenico e i costumi.
Il resto è oscurità, ombra,
confessione, lamento, disvelamento…
In scena due grandi attori,
Gianni De Feo e Cloris Brosca, interpretano la tragedia di ogni amore, la
trasformazione in orrore, assassinio, morte, nel processo che richiama i
testimoni della vicenda amorosa e che si conclude col verdetto dei giudici.
I legami del cuore sono al centro
della drammaturgia: la rosa rossa, simbolo di amore appassionato in ogni epoca,
seduce col suo profumo e la bellezza dei suoi colori, ma può anche uccidere con
la sola punta sottile di una spina.
I protagonisti sono ombre nella
notte scura di una piazza dove fanno da sfondo le mura della Basilica di San
Domenico Maggiore circondata da silenziosi palazzi cinquecenteschi: potrebbe
essere una piazza qualsiasi che ha visto nascere un amore qualsiasi, lo ha
visto consumarsi e trasformarsi in odio.
In ogni amore travagliato esiste un
percorso, momenti di grande felicità e altri di grande dolore, esistono errori,
rabbie, colpe, di cui spesso gli artefici non si rendono conto, ma arriva un momento
dove occorre prendere coscienza, fosse anche oltre la vita, nel mondo
fantasmagorico dell’ombra rimasta dopo il trapasso, quell’ombra che forse
sarebbe voluta fuoriuscire e impedire il tragico finale.
Gianni De Feo e Cloris Brosca rappresentano con
maestria queste ombre, due spiriti infelici, torturati dal senso di colpa, che
scontano la pena delle loro azioni come in un inferno dantesco, costretti a
ricordare costantemente il loro dramma, i fili attorcigliati e recisi della
loro relazione, i peccati commessi, il dolore passato, il sangue versato.
Sono due maschere che si confessano
vicendevolmente, che raccontano le ragioni dei loro comportamenti, incolpandosi
l’un l’altro, come avviene in ogni amore. Ma non tutti gli amori sono uguali,
due sconosciuti qualunque possono anche vivere le medesime tragedie, ma quando l’intrigo
riguarda personaggi importanti, le notizie sono copiose anche nei libri di storia.
E l’Autore si nutre di storia, applica
alla sua scrittura scenica lo schema della Tripartizione Eduardiana (Soggetto,
Sceneggiatura e Dialogo) spaziando dall’uso della lingua napoletana all’Italiano, variando tematiche,
argomenti ed epoche e prediligendo, di fondo, un’approfondita analisi
socio-psicologico-sentimentale dei personaggi e degli argomenti storici
trattati. Si tratta di Teatro Storico-Sociale con una spiccata
predilezione per avvenimenti collegati alla storia di Napoli, nella fattispecie
in questo spettacolo si parla della vicenda del Principe di Venosa, Carlo Gesualdo, e di sua moglie Maria d'Avalos accaduta nel 1590.
Siamo a Napoli davanti al palazzo
che appartenne al Principe Carlo Gesualdo da Venosa e dove,
nella notte tra il 16 e il 17 ottobre del 1590, il Principe assassinò sua
moglie Maria D’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa, Duca
D’Andria.
Si tratta di un celebre delitto
passionale che pian piano viene narrato durante l’azione scenica, la cronaca di
uno dei più famosi delitti passionali della nostra storia.
Cloris Brosca in "La rosa non ci ama",
regia Gianni De Feo. Foto Manuela Giusto
Durante l’azione scenica l’identità
dei due personaggi gradualmente si svela. Cloris Brosca – ve la ricordate la mitica
Zingara della TV inventata da Pippo Baudo? - è la prima ad innalzare il suo
lamento sul dramma della sua esistenza e lo spiega nella sua lingua, con una
voce chiara, determinata, impeccabile, in un napoletano antico, come parlasse
nella sua epoca, con un volto che esprime ogni sofferenza. Il principe risponde
esprimendosi tra italiano e spagnolo ma soprattutto con l’eleganza del suo corpo
fermo o in movimento e con l’espressività del suo volto da mimo. Anche quando
la confessione è affidata al personaggio della moglie, il suo viso commenta ogni
parola, abituato a far dialogare con lo spettatore ogni fibra del suo corpo.
Gianni De Feo in "La rosa non ci ama",
regia Gianni De Feo. Foto Manuela Giusto
Senza entrare nel dettaglio del
dialogo e dei risvolti degli accadimenti, Gianni De Feo e Cloris Brosca, ricomponendo i
colori di un oggetto fuori contesto, il Cubo di Rubik, attraversano tutta la gamma
cromatica delle loro anime per dare un senso ai loro sentimenti attraverso i
sei colori: la vigliaccheria del giallo, l’invidia del verde passando dal blu
al bianco al viola per giungere al rosso del sangue.
Due elementi sono connaturati a
quell’uomo sensibile e geniale inventore dei colori della musica, raffinato
madrigalista e stimato ispiratore dei tempi a venire, qual era il Principe
Carlo Gesualdo: la musica e i suoi colori, per l’appunto. E la musica infatti è
un elemento portante dello spettacolo, incombe sulla scena con i suoi suoni
chiari e scuri, raccontando la vicenda con temi e modi dell’epoca. Alessandro
Panatteri, autore delle Musiche originali, servendosi della consulenza
musicale di M. Adriana Caggiano, si adatta perfettamente alle scelte
del regista che afferma: «Ho privilegiato un’atmosfera notturna da cui, come
barboni, emergono due personaggi. Sarà l’azione scenica a riproporre, in una
ritualità ossessiva, le figure di Carlo e Maria. La regia alterna fra colori e
musica, personaggi infernali, grottesche figure sul proscenio dell’orrore».
Dopo lo sconto rabbioso, in un
abbandono catartico, i due fantasmi, accettando le colpe reciproche, sono
capaci di purificare le proprie anime raggiungendo finalmente la pace.
I protagonisti interpretano anche
altri personaggi necessari al dipanarsi della storia, come gli accusatori di un
tribunale e tutte quelle figure intorno alle quali ruota la vicenda stessa. Allo
stesso modo si mescolano le lingue, dallo spagnolo del 500 al napoletano antico
fino al latino, attraverso un linguaggio forbito a tratti lirico ma al tempo
stesso contemporaneo.
La musica che entra padrona in ogni
scena, sale in cattedra nel finale accompagnando un grandissimo Gianni De Feo
che interpreta due testi di Torquato Tasso scritti espressamente
per Gesualdo, ma mai messi in musica da questi: sono stati ora rielaborati
con musiche originali e cantati dal vivo nello stile dei madrigali.
Promossi tutti gli artefici dello
spettacolo, quindi, dallo scroscio di applausi prolungati del pubblico, rammentiamo
altresì che le foto di scena sono di Manuela Giusto, la consulenza
per lo spagnolo di Lorenzo Russo, la Produzione Lab di Tiziana
Beato e l’Ufficio stampa e comunicazione di Andrea Cavazzini.