C’è un modo originale e costruttivo per far scoprire ad adulti e bambini l’importanza e la Bellezza del Patrimonio Culturale e Paesaggistico del nostro Paese, per educarli al Rispetto dell’opera della Natura e di quelle dell’uomo o semplicemente per far conoscere loro l’esistenza dei Beni Ambientali. Patrizia Boi, Ingegnere e Cantastorie, lo fa utilizzando tutte le sue conoscenze, quelle di Progettista e Direttore Lavori, ma soprattutto quelle di una narratrice che ha approfondito la morfologia della Fiaba, l’Antropologia dei Popoli, le Simbologie e gli Archetipi, il Mito e l’Epos, la magia delle Piante e il loro potere curativo. Al di là della struttura della trama narrativa che incuriosisce e tiene sempre desta l’attenzione del lettore, nel suo ultimo libro1 Patrizia fa emergere il suo cuore Ecologico, una caratteristica presente anche in precedenti opere come LegenΔe di Piante - Nostra Protezione ed equilibrio in terra, scritto in collaborazione con Lidia Costa e Lucia Berrettari, pubblicato a puntate nel 2014 proprio su WSI. Però, l’elemento nuovo e sicuramente per noi più accattivante di questa sua ultima pubblicazione è il riferimento ricorrente ai Beni Culturali e al Paesaggio della sua Terra, la Sardegna.
Un esempio è il Laboratorio Alchemico dove il dio-scienziato Lug costruisce il suo Robottino Catorchio, uno strano edificio alimentato da energie rinnovabili. “[…] Aveva i muri molto alti e il tetto a capanna. Le finestre erano circolari e si aprivano con meccanismi sofisticati. Sul tetto poi c’erano pannelli che riflettevano la luce e una grande ciminiera da cui fuoriusciva uno strano fumo bianco […]”.
Ma forse l’idea più interessante è che questo Laboratorio semi-moderno si trova in una radura nel Bosco posta vicino ad uno dei Siti Archeologici nuragici più suggestivi della Sardegna che andrebbe tutelato e valorizzato. È Pranu Muttedu che, come spiega la Jana Gina a Catorchio, è “molto importante per questi allineamenti di Menhir. Il paese vicino si chiama Goni e la gente viene anche da lontano per studiare queste pietre”.
Naturalmente la Jana illustra al Robottino che quei grandi sassi si chiamano “Menhir”, “[…] pietre verticali che simulano il potere maschile e rappresentano l'elemento di congiunzione tra la Terra e il Cielo. Qui ce ne sono diciotto, sono allineate da Est a Ovest, nella direzione della nascita e del tramonto del Sole”. Dunque, la Boi fornisce alcuni elementi che potrebbero incuriosire il lettore e indirizzarlo attraverso percorsi meno noti ai viaggiatori che si inoltrano nella misteriosa Terra di Sardegna.
La Fiaba dedicata all’Alloro e all’Architetto Mariane Maistu è impostata sull’importanza del Progetto, quel momento magico in cui l’idea artistica si fonde alle necessità funzionali affinché venga creata un’opera architettonica. Così una “ragnatela straordinaria intessuta con fili argentati e dorati, una specie di tappeto con mille ricami, che riportava un disegno minuzioso […]” diventa la base progettuale per la realizzazione della chiesetta romanica di San Pietro di Sorres in cui “la pietra bianca e nera che la costituiva era decorata con intagli, intarsi, cornici, archi, pilastri e colonnine. Nelle lunette sopra gli archi erano ricavati bassorilievi con cerchi, rombi e croci […]”.
Mariane in questo caso diventa un Architetto che interpreta un Disegno magico, fornitogli da una donna trasformata in Pianta di Alloro, che gli appare come una visione che si materializza. Ma, in fondo, cos’è un progetto architettonico se non un’idea che prende forma prima nella nostra mente, poi su carta e, infine, quando viene realizzato, nella realtà? La Fiaba si conclude con l’immagine del Nuraghe Santu Antine, la Reggia Nuragica di Torralba, uno dei Nuraghi più maestosi dell'intera Sardegna. È un’opera di Architettura megalitica straordinaria, un Nuraghe polilobato dove un corridoio circolare ricavato nello spessore del muro collega le stanze.
Di Nuraghi si parla anche nella Fiaba dei Tre Fratelli ambientata nel territorio di Serri. In questo caso i giovani si imbattono nel Santuario Nuragico Santa Vittoria di Serri, un complesso archeologico, posto a circa 670 metri s.l.m., che si estende sul versante meridionale dell'altopiano basaltico della Giara di Serri. Il Pozzo Sacro del Santuario diventa per Patrizia l’occasione per affrontare anche il tema del Rito delle Acque e dell’Ordalia. Infatti, secondo i Nuragici “’S’abba tenet memoria’, cioè l’acqua conserva la memoria […]. Chi diventava cieco quando gli veniva buttata l’acqua negli occhi era giudicato colpevole. Chi, invece, era innocente, acquisiva la capacità di vedere più chiaramente. L’Ordalia era come il Giudizio di Dio […]”.
Ma nelle Fiabe di Patrizia non ci sono solo opere architettoniche. In esse trova spazio anche l’arte della tessitura attraverso la quale le Donne raccontano, oggi come ieri, le storie per immagini, come nel Mito di Aracne che tessé la sua tela per raccontare gli amori degli dèi.
L’autrice invita, quindi, il viandante a fermarsi a Sant’Antioco per visitare il suggestivo Museo del Bisso di Chiara Vigo, l’ultimo Maestro del Bisso ancora in vita, per scoprire la sua Arte Antica di filatrice e tessitrice. Nella Fiaba, la nonna spiega a Geltrude che “Il filo ritorto del Bisso si ricava dal mollusco chiamato ‘Pinna Nobilis’. […] Io ti insegnerò il segreto della dissalatura, della cardatura e dello sbiondamento che ci consentirà di trasformare questo filo in seta d’oro. Poi lo fileremo e lo tesseremo rendendo magico ogni nostro ricamo. […] La tessitura del Bisso è un’arte sacra concessa solo a chi ne comprende il vero valore”.
Patrizia ha sempre avuto la curiosità di un esploratore che si stupisce anche quando scopre un piccolo mosaico, una chiesetta di campagna, un monastero isolato, un reperto che emerge da uno scavo. Eccola quindi che, a Luogosanto, si entusiasma insieme a Cletus di fronte “all’Eremo di San Trano, un edificio rupestre situato su un ampio altopiano granitico che si erge sopra il centro abitato, […] costituito da irregolari blocchi di granito” e circondato da rocce incantevoli che la Natura ha incastonato lì.
Insomma, sono tanti gli elementi che compaiono nelle varie Fiabe, un percorso disseminato di Bellezza, un vero cammino letterario e artistico che ci guida alla scoperta dei misteri della Sardegna.
Così nella Fiaba di Ziu Liberu Cerca Tesori non mancano le citazioni di Pietre Monumentali Naturali e di luoghi magici che la Boi ha visitato o che ha trovato nei libri della Deledda o di qualche altro ricercatore sardo. Ed è il protagonista che, nel suo girovagare, si imbatte nella spettacolare ‘Pedra Istampada’, “un monumento naturale costituito da una immensa pietra con un diametro di almeno quaranta metri e un enorme buco al centro”, e nella ‘Preda Ballarina’, “cioè una pietra capace di danzare e poi fermarsi […] costituita da un blocco di granito poggiato su un altro conficcato nel terreno». Oppure si avventura nel «territorio dall’aspetto lunare, costellato di rocce e pietre” di Aggius dove trova una grande lastra di granito chiamata ‘su Tamburu Mannu’, il Grande Tamburo, che se toccata sul bordo oscilla producendo un rullio cupo.
E non si dimentica nemmeno delle Miniere sarde nell’ultima Fiaba dedicata alla Profumiera Kalika che proviene dall’antica Atlantide grazie ad una macchina del tempo e che viene sbarcata proprio nella Miniera di Ingurtosu “uno degli insediamenti minerari più importanti del mondo antico, un filone lungo circa dodici chilometri da cui si estraevano argento, piombo e zinco. Si estendeva per tutta la vallata, da Montevecchio a Ingurtosu, ed era immerso in un’atmosfera che l’abbandono rendeva davvero suggestiva”. Sembra di vederla Kalika mentre attraversa questo luogo abbandonato facendosi guidare dall’olfatto che le consente di distinguere nitidamente “le esalazioni di muffa dei ruderi, quelle del metallo degli impianti, degli enormi cumuli di materiali di scarto e dei carrelli arrugginiti e il tanfo di terra proveniente dai pozzi profondi” del villaggio fantasma in cui tutti gli effluvi del passato sono cristallizzati nei muri e nei vagoni sospesi nella memoria del tempo.
Grazie all’abilità narrativa dell’autrice, si materializza davanti ai nostri occhi di lettore l’Antica Miniera ancora in movimento, con i carri carichi d’argento e i piccoli Minatori Sardi che entrano nelle fauci della Terra e non sanno se rivedranno la luce del sole. Difatti, lo scavo minerario è denominato ‘su Ingurtidroxiu’, cioè inghiottitoio, in riferimento alla “rete di cunicoli sotterranei che aveva inghiottito tante vite umane. Infatti, il posto era anche noto come ‘Valle de Is Animas’ in ricordo di quei poveri minatori che avevano trascorso l’esistenza sottoterra più morti che vivi […]”.
Patrizia non perde l’occasione di descrivere il Paesaggio come fa per le Dune di Piscinas “piccole montagne alte un centinaio di metri e fatte di sabbia dorata, un paio di chilometri di giganti d’oro che sembravano parzialmente conficcati nel deserto”. Ed è capace di immaginare e raccontare “quel vento fresco, a volte leggero, a volte sferzante, che aveva scolpito la loro forma con la sua prolungata e incessante azione”.
Possiamo citare ancora i paesaggi di Bosa, Rena Maiore e Ozieri, ‘de Su Meriagu’ e ‘Gulfu de li ranci’, dell’isola di Tavolara, di Galtellì, Loceri, Sennori e del Supramonte, di Siurgus Donigala, Carloforte, Costa Rei e Sant’Antioco, di Kalaris e S’Alighera, i principali luoghi della Fiaba che Niccolò Pizzorno ha ubicato su una fantasiosa mappa dell’Isola.
Naturalmente Patrizia, che ha un animo cosmopolita, ama pure le bellezze che non appartengono alla sua Sardegna, quindi approfitta dell’ombra del Mediterraneo per far viaggiare i suoi personaggi anche fuori dall’Isola: nell’Agro Pontino, nella suggestiva Matera, nel Golfo di Napoli, nella lontana Liguria, alle Isole Tremiti e al limite della Penisola, sulla Drepanon felicemente assisa tra i due Mari innamorati dell’Isola di Trinacria.
Ma questo è ancora un altro viaggio. Alla fine del suo romanzo-fiaba troveremo la parola INIZIO perché si tratta davvero solo del principio di un viaggio nella Bellezza, nella Natura e nel mondo incantato della Fantasia.