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Roma, Roma, Italy
Scrittrice di romanzi, racconti, fiabe, favole e storie per l'infanzia. Autrice del romanzo "Donne allo specchio" Mef Firenze, della raccolta di Fiabe "Storie di Magia" Happy Art Edizioni Milano, del volume LegenΔe di Piante - Nostra Protezione ed equilibrio in terra (una raccolta di 12 leggende sulle piante ambientate nei dodici mesi dell’anno) pubblicato a puntate nel 2014 su Wall Street International Magazine.Nel giugno 2017 ha pubblicato per la Collana I Cortili della Casa Editrice dei Merangoli, il Saggio Ingegneria Elevato n - Ingegneria del Futuro o Futuro dell’Ingegneria?, scritto a quattro mani con suo fratello Maurizio Boi, con 150 Immagini Colore/BN del fotografo Sergio Pessolano.

lunedì 10 dicembre 2018

Dicembre - L'Albero Andronico di Patrizia Boi

http://www.tottusinpari.it/2018/12/10/tra-fiaba-e-leggenda-mese-di-dicembre-lalbero-andronico/





TRA FIABA E LEGGENDA (MESE DI DICEMBRE): L’ALBERO ANDRONICO

di PATRIZIA BOI

C’era una volta in un boschetto incantato un Pioppo Nero come i segreti della notte, che s’ergeva elegante e maestoso in mezzo all’antico Olmo, al saggio Frassino, al cugino Ontano Nero e ai suoi figli Salice Bianco e Salice Rosso.
Era il più alto della famiglia e di certo il più affascinante, e aveva l’aspetto di un uomo vittorioso, tanto che era stato soprannominato Albero Andronico. Il carattere originale, la forza e la determinazione, la dolcezza e la tenerezza lo rendevano l’albero più ambito tra le femmine del bosco, ma tutto questo movimento a lui non piaceva, anche perché spesso gli era stato spezzato qualche ramo e staccata qualche foglia di troppo.Ecco perché lui tendeva a rinchiudersi nel suo manto dorato ed era poco disponibile a lasciarsi andare alle lusinghe femminili.
Il suo aspetto era attraente per la chioma ovale verdissima e colma di foglie lunghe e strette, un immenso gioco di luci e di riflessi che in autunno conquistava tutte le sfumature del rosso e dell’oro.Questa regale capigliatura era costantemente scossa dal vento: che fosse refolo o tempesta, essa donava al bosco una sinfonia di note, come il soave canto degli Elfi e delle Fate che si celavano dietro a quelle fronde vellutate.L’albero era vivo e risplendente dalle radici alla corteccia, eretto nel suo abito nerastro e spesso, possente e tenace come un guerriero. E racchiudeva il mistero di migliaia di occhietti verdi, piccoli, vivaci che scrutavano il cielo dal tronco diritto e nodoso, dalla corteccia fessurata e stanca.
Pensava spesso che avrebbe potuto conoscere altri luoghi, erbe magiche e fiori profumati, la sensualità degli abiti femminili delle querce e delle sequoie, la freschezza dei tigli. Lo attraeva la magia degli alberi fioriti, il sussulto delle ginestre colorate di sole, il tramonto sull’oceano infinito… eppure restava fermo nel suo antico e possente radicamento, non lo avrebbe spostato dalla sua zolla nemmeno l’evento più catastrofico della natura, un potente sisma o un disastroso uragano. Forse perché il Piccolo Popolo di Gnomi ed esseri elementali gli teneva compagnia egli ruotava intorno aspettando il suo canto e la musica irresistibile che donava magia anche all’aria.
Ogni anno il Pioppo Nero mostrava la sua splendida fioritura espandendo il suo intenso profumo tra le femmine del bosco,finché un bel giorno i suoi frutti furono maturi, e da essi fuoriuscirono tanti piccoli semini piumosi come cotone che il vento portò molto lontano. Uno di questi andò a posarsi su una splendida Pioppa Bianca.
Era una pianta dal temperamento giovane,audace e focoso. Aveva la corteccia liscia e candida con qualche screpolatura in corrispondenza dell’attaccatura dei rami. Le sue vesti svolazzavano alla brezza investendola di fascino e leggerezza e rendendola disponibile al cambiamento. Le bastava una farfalla variopinta o un gabbiano, o il canto di una civetta in una notte d’estate per essere attratta dal mistero e perdersi in fantasie e sogni che raccontava alle fatine nascoste tra le sue vesti scintillanti. Figuriamoci come palpitò il suo cuore alla vista di quel semino piumoso! Si mise subito in testa di trovare la pianta da cui proveniva. E a nulla valsero i consigli di chi voleva dissuaderla da quel pericoloso viaggio.
La Pioppa Bianca si tagliò qualche radice ed estrasse le sue sinuose gambe dalla zolla, abbandonando tutta se stessa all’ignoto. Nemmeno lei sapeva esattamente cosa cercare, trascinandosi il semino sul petto come se inseguisse un sogno, con le radici desiderose d’umido e d’acqua pura. Ogni tanto si bagnava nelle acque di un torrente o di un fiumiciattolo che scorreva pigramente verso valli ignote e si fermava a far riposare la sua immensa fatica. Un giorno si sedette in riva a un lago, vicino a una pianta di Sambuco e s’addormentò profondamente. Le apparve in Sogno una deliziosa Fatina Bionda che così parlò:
Il Semino Piumoso è volato
e proviene dal bosco incantato
appartiene ad un bel Pioppo Nero
nato proprio su di un cimitero.
La Pioppa aprì gli occhi ed ebbe davanti a sé uno spettacolo che le accese subito il cuore: aironi cenerini, garzette,gallinelle d’acqua, un germano reale e un martin pescatore volarono intorno a lei e le mostrarono la strada per proseguire il viaggio. La Pianta si congedò dagli altri amici conosciuti durante il cammino: la Signora Rana, il Signor Rospo e la loro piccola Raganella, salutò la Lucertolina e il Tritone e la loro amica Biscia e s’incamminò per la via indicata. S’inoltrò presto in un bosco vero e proprio, incontrando un Salice Bianco, un Frassino, tre Ontani Neri e un’altra pianta di Sambuco che la salutarono sorridendo. Dalle loro fronde s‘alzò un canto di usignoli e cinciallegre, un picchio verde s’affacciò tra le foglie e uno sciame di farfalline colorate s’unì alla comitiva in volo. Un Olmo campestre si levò gentilmente il cappello e tutto il sottobosco si fece avanti ricco delle sue fioriture: biancospino, frangola, corniolo, lantana, nocciolo,prugnolo, ligustro, sanguinello, fusaggine e luppolo. Il viaggio proseguì in un clima di festa e l’allegra compagnìa si spinse avanti fino al tramonto.
Un sole immenso scese dietro ai monti e lasciò spazio a una straordinaria Mezza Luna Rossa. La Pioppa fu sedotta da tanta bellezza e restò a contemplare la scena prima d’abbandonarsi al Sonno e ai Sogni della notte. Una varietà di Esseri con le alucce verdi, azzurre e rosse la visitarono e una marea di Elfi e Gnomi le salirono sui rami accarezzandola dappertutto. Lo Gnomo più anziano le fece segno di seguire un coniglio bianco. Al suo risveglio tutto il Piccolo Popolo era sparito ma non il coniglietto, pronto a indicarle il cammino. La guardò con i suoi occhietti rossi e iniziò una veloce corsa. La Pioppa Bianca dovette districarsi tra le piante, attraversare campi di fiori, fiumi, selve e il verde prato di una rotonda collina, poi, giunta accanto a una cascata d’acqua azzurra, si lavò la chioma affaticata sotto quel getto miracoloso. Una Carpa dorata le rimase impigliata tra i rami e le sussurrò:
Il Coniglio ha concluso il suo viaggio
vieni nel fiume con forza e coraggio.
E si buttò nell’acqua con un salto.
La Pioppa seguì la Carpa per tre giorni e tre notti e la terza notte raggiunse una radura illuminata dal cielo stellato. Era piacevole il bagliore di tutti quei puntini e il suo cuore fu colmo di desideri. Non era più ansiosa di arrivare a destinazione, ma voleva assaporare ogni momento del viaggio. Nella notte attraversò un muro luminoso formato datante piccole lucciole e all’alba si trovò finalmente proprio ai piedi del bosco incantato. Una strana luce rossastra danzava amabile sopra la chioma delle piante dove scorse subito la testa più alta. A quel punto si fermò e attese uno sguardo. Il Pioppo Nero era così preso dalla sua chioma agitata dai venti, dalla musica che passava tra le sue foglie che non s’accorse di lei. La Fatina Bionda le apparve di nuovo e disse:
Sei giunta a destinazione
hai seguito l’illusione
ora devi aspettare
il Pioppo ti deve invitare.
La Pioppa Bianca stava al suo posto ad aspettare, ma il Pioppo Nero non la guardava mai negli occhi, sbirciava ogni tanto da lontano, forte della distanza che li separava e poi si concentrava di nuovo su se stesso. Pensava e ripensava, valutava e soppesava, ogni tanto gli sfuggiva un’emozione, una sensazione, una voglia di tenerezza, ma poi ritornava sui suoi passi. Ci fu un momento che incontrò lo sguardo della Pioppa, ma subito uno spiritello burlone con una spinta lo persuase che era meglio non fidarsi di lei. E lei ci rimase molto male, quell’ostentata solitudine del Pioppo Nero la spaventava. Lei desiderava l’intrecciarsi di due vite, la condivisione profonda dei sentimenti, la perdita di se stessa nell’anima dell’altro, invece era tenuta a distanza come un essere pericoloso. Così, in lacrime, staccò di nuovo le radici dal suolo e tornò a casa.
Il viaggio di ritorno, pur con la tristezza nel cuore, fu comunque piacevole, grazie ai tanti interessanti incontri che la riavvicinarono ai lati positivi della vita. Fu accolta dalla gentilezza delle Betulle, dalla tristezza dei Salici, dalla precisione dei Cipressi, dalla possanza dei Faggi e dalla sicurezza dei Frassini. I fiori le raccontarono i segreti dei loro colori inondandola della loro fragranza. Tartarughe e lumachine che s’affrettavano verso uno stagno le mostrarono splendide Ninfe intente a filare e tessere i destini degli uomini, deliziose Silfidi avvolte investi argentate tra i cespugli di rose bianche e Ondine danzanti sul far della sera o alle prime luci dell’alba. La lentezza del suo passo le consentiva di osservare quel mondo invisibile che spesso sfugge ai sensi distratti. Sfidò le colombe verdi del torrente che svolazzavano in aria festose, i Troll dei fiumi che aprivano porte e spazi, gli spiriti dei Jinn nascosti nelle rocce e i malvagi Goblin erranti negli antri misteriosi. Gli animali la guidarono:l’ermellino bianco nelle strade più fredde, gli scoiattolini nelle radure del bosco, i lupi attraverso le selve più intricate. Tutto la rendeva felice facendole pian piano sentire quella terra che nutriva le sue radici. Il Pioppo Nero aveva rifiutato la gioia, il sorriso, il sogno di unione e lei aveva rischiato di perdere forza, stabilità e allegria. Non aveva avuto altra scelta che la sua originaria solitudine, ma il viaggio le aveva donato conoscenza e aperto nuovi orizzonti.
Il Pioppo Nero, dal canto suo, non era indifferente a quella perdita, la Pioppa gli mancava, gli mancavano i suoi sguardi, i suoi sorrisi, la carezza della sua voce, ma era inchiodato alla sua zolla senza saperne il perché. Negli ultimi tempi si era chiuso alle novità,eppure più temiamo i cambiamenti più essi arrivano a minare la nostra stabilità. La distruzione degli uomini avanzava nella foresta: i tagli degli alberi,l’invasione del cemento, le costruzioni sempre più ingegnose con i metalli. Da quando il passaggio di automobili e di velivoli, il viavai chiassoso della gente aveva invaso l’ambiente incontaminato, molti alberi avevano abbandonato il bosco, altri erano appassiti per carenza d’acqua, altri ancora,allontanatisi un istante, non erano più tornati.
Il boschetto era scomparso lasciando spazio alle case di una grande città e al caos degli uomini. Anche se appariva disinvolto nella sua dura scorza di Albero Andronico, il Pioppo s’affliggeva per le più piccole cose. Soffriva quasi compiacendosi dei suoi problemi e se talvolta teneva per sé le sue lamentele, era per godersele meglio. Non lasciava mai trapelare il suo stato interiore, lo si poteva pensare sempre tranquillo e disteso, mentre in realtà era spesso torturato, inquieto, angosciato. Certo,senza più la freschezza della foresta, la magnificenza dei prati verdi e colorati di fiori, senza il calore degli animaletti del bosco, la pianta era spaesata pur dietro alla sua maschera d’allegria e coraggio.
Fu così che si rese conto che tutto passa nella vita tranne gli affetti importanti e quella Pioppa che lo aveva raggiunto spinta dalla passione forse avrebbe creato armonia nella sua anima tormentata.Cosa se ne faceva della sua forza, della sua conoscenza del regno invisibile,della sua determinazione se non poteva condividerla con nessuno? Forse quel sogno d’unione poteva risvegliare tutto il suo potere di creazione. Così tirò fuori i suoi germogli e sparse di nuovo al vento quei semini piumosi.
Non ci crederete, ma uno dei semini raggiunse ancora la nostra Pioppa con l’aiuto di qualche Fata dell’Amore. E lei riconobbe immediatamente il richiamo di quel Pioppo Nero a cui aveva pensato tanto, ma fu attraversata da un’infinità di dubbi, aveva paura del dolore, di non essere accolta. Eppure quel semino la guardava e la implorava, come se le chiedesse dipartire ancora. Stavolta la Pioppa non disse nulla alla sua gente, nessuno l’avrebbe compresa e aiutata, nessuno le avrebbe suggerito di rimettersi in viaggio. Lei però ora era diversa, possedeva la sua creatività, il suo carattere, la sua innata letizia, avrebbe forse potuto condividere con lui il suo potere. Era aperta ad accogliere e trasformare anche il dolore, a superarlo con il movimento che crea la vita, desiderava quell’unione più di ogni altra cosa e credette di nuovo al suo sogno. Il viaggio, oltretutto, la stimolava,non le piaceva fermarsi troppo a lungo nella stessa zolla, voleva esplorare tutti i mondi possibili e così partì entusiasta dell’avventura. Il cammino le donò sapienza, fu più piacevole che mai e la noia non la sfiorò nemmeno per un attimo. Si sentiva forte, saggia e piena di energia e ogni istante fu intenso e coinvolgente. Non si fece mai avvolgere dalla paura e angustiare dal dubbio,andò dritta per la sua strada e niente la distolse dai suoi propositi.
Quando giunse accanto al Pioppo Nero,stavolta, lo guardò negli occhi con determinazione e lui non abbassò lo sguardo, anzi l’accolse teneramente tra le sue foglie scintillanti. Lei si appoggiò con fiducia a quel tronco possente e sentì tutta la forza dell’Amore che debordava da quell’antica corteccia. In quel momento le due piante sorrisero e immediatamente le radici dell’una s’intrecciarono a quelle dell’altra. Ormai unite alla base, levarono le radici da quella terra arida e si diressero verso un giardino lontano. Ed è stato durante il viaggio che i loro tronchi e le loro chiome sono diventate una cosa sola portando una trasformazione alla pianta che non la rende né bianca né nera ma le regala l’aspetto di una vita intera, coraggiosa e vittoriosa, degna di un vero Albero Andronico.
Il viaggio è stato lunghissimo prima di arrivare al giardino lontano, ma la fioritura dell’Albero Andronico in ogni luogo e in ogni tempo ha portato gioia e risveglio a tutti gli animi in cui si è imbattuto. Inoltre ogni fioritura ha riempito il mondo di tanti piccoli alberelli, Pioppetti Bianchi e Pioppetti Neri, che hanno tramandato e tramandano ancora il suo messaggio segreto.
Ogni bell’albero dal fusto fiero
dall’alto domina sicuro e altero
senza coinvolgersi profondamente
perché sull’anima spicca la mente.
Il Pioppo Bianco spinto dal cuore
paziente aspetta e freme d’amore
spera e confida nell’aspetto gentile
danza e si muove con vero stile.
Ma se l’orgoglio non cede il passo
anche un germoglio diventa sasso
non basta un pianto di tenerezza
per risvegliare reale interezza.
Meglio star soli che in compagnia
con alti muri e una sana follia
chiusi nel carcere da un censore
da mane a sera a contare le ore.
Quando però il destino lo vuole
anche la Luna diventa un Sole
e la piantina può essere accolta
per non sbagliare ancora una volta.
La solitudine a noi tutti pesa
e il Pioppo Nero vuole la resa
la Pioppa Bianca lo guarda felice
e gli sorride da chioma a radice.
E nell’incanto dell’abbandono
ogni lamento diventa un suono
ogni radice cerca l’unione
e Amore porta trasformazione.
Così il bell’albero né Bianco né Nero
ora capace d’Amore sincero
può continuare la sua avventura
portando al mondo la sua fioritura.
Da ogni fiore poi nasce un frutto
che dona al mondo nuovo costrutto
tanti alberelli in un popolo amico
per raccontare del Pioppo Andronico.

venerdì 7 dicembre 2018

Le famiglie Arcobaleno, una nuova realtà per colorare il futuro: Patrizia Boi intevista la giornalista e scrittrice Eugenia Romanelli

https://wsimag.com/it/economia-e-politica/45900-le-famiglie-dellarco-iris

Le Famiglie dell’Arco Iris

Intervista alla giornalista e scrittrice Eugenia Romanelli

5 DICEMBRE 2018, 
Camerun – Donne di etnia Koma al lavoro nei pressi di un villaggio sui Monti Alantika - Ph Sergio Pessolano
Nella storia della famiglia, il pensiero occidentale è stato fortemente influenzato da Aristotele che, nel suo libro La Politica, considera il nucleo familiare come primo mattone per la costruzione dell’aggregazione sociale. La famiglia, secondo il filosofo greco, favorisce l’autosufficienza del gruppo umano grazie alla complementarità dei sessi maschile e femminile nella generazione ed educazione dei figli, mentre ai servi è demandato il compito di eseguire i lavori necessari alla sopravvivenza quotidiana.
Purtroppo in queste forme di aggregazione vale il principio che il migliore comanda. Questo ha condotto a un modello di famiglia che si esplicita nella sua etimologia latina di famīlia, "gruppo di servi e schiavi patrimonio del capo della casa", includendo anche moglie e figli del pater familias che legalmente gli appartenevano.
Mettere insieme due tensioni così differenti come quella maschile e femminile ha fatto nascere all'interno della famiglia il conflitto di potere tra uomini e donne. Friedrich Engels, sosteneva, infatti, che il matrimonio rappresenta «la prima forma di lotta di classe che appare nella storia in cui il benessere e lo sviluppo di un gruppo sono acquisiti attraverso la miseria e l'oppressione dell'altro». Tant’è che la famiglia si è evoluta identificandosi sempre più con la famiglia nucleare con parità di diritti e doveri tra i due sessi.
Sono aumentate le famiglie mononucleari sostenute da un unico genitore: la donna si è emancipata economicamente scegliendo spesso di sostentarsi da sola senza più dipendere dal potere del coniuge; l’uomo, su cui spesso gravava l’onere di mantenere l’intero nucleo, si è deresponsabilizzato lasciando che la donna provvedesse da sé al proprio sostentamento e a quello dei figli. Sono aumentate vertiginosamente le famiglie dei separati, dove non è facile gestire diritti e doveri dei genitori contribuendo ad accrescere il numero dei bambini sballottati tra un genitore e l’altro.
In questa incessante trasformazione della realtà sociale, è nata l’esigenza di portare alla luce una serie di ‘unioni invisibili’ che legavano, per esempio, individui dello stesso sesso e che non presentavano un riconoscimento socio-politico. Sono nate così le ‘Famiglie Arcobaleno’, «fondate non sulla biologia, nemmeno sulla legge, purtroppo, ma sulla responsabilità assunta, l'impegno quotidiano, il rispetto, l'amore». La scelta del termine ‘arcobaleno’ è presumibilmente collegata alla credenza che l'arcobaleno rappresenti un'entità sacra, una sorta di tramite tra il cielo e la terra, un ponte dall’arcata sospesa nel vuoto «che si staglia netta sullo sfondo cupo delle nuvole della tempesta», unione di tutti i colori, Il simbolo dell’arcata rappresenta la possibilità che esista una connessione impalpabile di realtà, piani e soggetti differenti, distanti. Si tratta di inglobare nel concetto di famiglia anche la realtà dei gay e delle lesbiche e del loro desiderio di paternità e maternità. Abbiamo intervistato la scrittrice e giornalista Eugenia Romanelli, blogger per Il Fatto Quotidiano, l’unico blog giornalistico italiano dedicato esclusivamente alle famiglie omogenitoriali.
Molti dei suoi romanzi sono frequentati da personaggi omosessuali o vi compaiono le famiglie omogenitoriali, nel blog che tiene per Il Fatto Quotidiano si occupa di questo tema: perché?
Nella mia ricerca artistica e intellettuale sono da sempre molto attratta dai cambiamenti culturali e sociali della nostra contemporaneità, e mi diverte impegnarmi nel prospettare quali potrebbero essere i prossimi scenari. Con i miei libri cerco di versare la mia goccia nell’oceano per contribuire a trasformare un immaginario ormai logoro in qualcosa che sia più inclusivo di quei soggetti sociali di cui manca di fatto una rappresentazione. Con il mio blog invece faccio attività giornalistica e politica: manca molta informazione sul tema omogenitorialità e c’è bisogno di difendere i diritti di famiglie e di bambini che al momento sono calpestati.
L’omosessualità in Italia è ancora oggetto di omofobia? L’evoluzione scientifica non ha aperto la mente della gente nei confronti della diversità?
Sì, lo è, anzi abbiamo in questo momento una vera emergenza sociale, tanto più perché manca una legge in merito. L’evoluzione in ambito riproduttivo ha aiutato molte coppie omosessuali a riprodursi ma anche su questo manca una vera e propria legge, e il tema è fortemente controverso. Senza leggi è difficile cambiare la cultura. Anche se prevedo che, come per altri switch socioculturali, sarà proprio “la gente” a stimolare il legislatore: le persone sono più aperte del nostro Parlamento.
Finora, la morale cattolica ha istillato negli eterosessuali e negli omosessuali stessi la pratica del giudizio, quanto pesa questo sull’accettazione e rivelazione della propria omosessualità?
Molto. Si chiama omofobia sociale introiettata. Lo approfondisce in modo interessante lo psicanalista Vittorio Lingiardi nei suoi libri. Sono spesso gli omosessuali a rifiutarsi per primi, identificati con il giudizio negativo di una certa collettività.
Nella vita sociale delle ‘Famiglie Arcobaleno’, quali bisogni della coppia e dei figli sono di più difficile soluzione?
I bisogni sono gli stessi delle altre famiglie. Per alcune famiglie è possibile inciampare in un’ansia di accettazione. Secondo la letteratura internazionale, unanime su questo, l’unico vero problema, nello specifico per i bambini delle famiglie omogenitoriali, è un rischio in più di ammalarsi di minority stress disorder, ossia lo stress di essere bullizzati. Ma questo accade purtroppo a molti altri bambini per tante diverse ragioni.
Se la madre naturale - in una unione tra due donne - ha gli stessi diritti di una madre eterosessuale, quanto si discrimina quella che non ha concepito il figlio ma lo vorrebbe adottare?
La madre sociale, ossia non biologica, ad oggi non vede riconosciuti i propri diritti in Italia, a meno che non percorra la via legale intentando una causa contro lo Stato. Ne sono state vinte parecchie, e adesso si stanno anche aprendo nuove prospettive: molte sentenze hanno riconosciuto il genitore non biologico anche semplicemente reinterpretando la legge in vigore.
Il mancato riconoscimento di figli omogenitoriali calpesta solo i diritti della coppia o soprattutto quelli del bambino?
Non è il figlio a non essere riconosciuto, ma il genitore non biologico. Il danno ricade in primo luogo sul bambino, per il quale ovviamente i genitori sono entrambi.
In che modo una coppia omogenitoriale affronta eventuali discriminazioni nei confronti dei propri figli?
Ogni genitore che si trova davanti a un figlio bullizzato reagisce con preoccupazione. Sul cyberbullismo, ad esempio, è stata di recente fatta una legge. Sul bullismo verso bambini con genitori dello stesso sesso, come per altre bullizzazioni invece no, quindi al momento prevale il buonsenso del genitore.
C’è sempre in una coppia dello stesso sesso un genitore che protegge e un altro che educa?
Secondo la letteratura scientifica contemporanea a un figlio viene garantita la possibilità di vivere una vita equilibrata se i genitori gli assicurano la funzione di care giving e quella normativa, ossia cura e regole. Non importa chi fa cosa. Esistono padri che curano e madri che normano, o genitori che interpretano entrambi tutti e due i ruoli. Se la funzione è separata dal genere sessuale a cui apparteniamo, una coppia omosessuale dunque è in grado di rifornire il figlio in questo senso.
Si riesce a instaurare un maggiore equilibrio familiare rispetto alla diversità di vedute che si verificano nelle coppie di diverso genere?
No. Le coppie e le famiglie sono tutte uguali in questo senso: apparteniamo tutti alla razza umana.
È più facile essere due madri o due padri?
Non saprei. Forse due padri incontrano maggiori difficoltà, anche solo per le modalità del concepimento.
Come pensi che sarà il futuro degli “Arcobaleno” in Italia? Riusciremo ad essere evoluti come negli altri Paesi europei?
Certo. Più lentamente. Come in tutto. Del resto l’Italia è un paese appena nato rispetto ai nostri vicini di casa.
Ringraziamo la Romanelli per le sue risposte che offrono lo spunto per nostre riflessioni. La realtà della famiglia contemporanea, le nuove frontiere del lavoro femminile, la spersonalizzazione della globalizzazione, la mancanza continua del fattore tempo, costringono i genitori di qualunque tipo di nucleo familiare a incarnare il duplice ruolo di padre-madre o madre-padre – figura che con un termine da fiaba io chiamo ‘Mammoy’ – creando un nuovo equilibrio rispetto al significato di essere uomo e donna. Se già all'inizio degli anni Cinquanta, Erich Fromm considerava patologico l'uomo «normale» e socialmente adattato, capace di un comportamento mirato alle esigenze economiche e sociali, così come negli anni Trenta il carattere autoritario della società aveva condotto l’uomo rivestito di normalità alle peggiori barbarie - non solo nei confronti degli ebrei, ma anche degli zingari e degli omosessuali – è evidente che la necessità di semplificare priva la vita delle sue infinite sfumature e l’individuo della sua salute psichica.
Occorre rilevare, inoltre, che le gradazioni di omosessualità, come di eterosessualità, sono così tante che non è facile definire un “tipo psicologico" omosessuale senza ricadere nella banalità. E questa semplificazione, inoltre, contribuisce a etichettare l’individuo attuando una forma di giudizio che genera la paura di dichiarare la propria natura. Lo scrittore francese André Gide ha, invece, centrato la sua opera nell’affermazione della propria libertà, al di fuori di vincoli morali e puritani, nel riconoscimento della verità interiore di se stessi accettando la propria omosessualità senza venir meno ai propri valori. Come lui stesso affermò nel lontano 1924, del resto, «l'omosessualità comporta ogni gradazione: dal platonismo alla lascivia, dall'abnegazione al sadismo, dalla sanità gaudiosa alla malinconia profonda. Inoltre, tra omosessualità esclusiva ed eterosessualità esclusiva esistono tutte le forme intermedie».
Bisognerebbe, quindi, abituare i propri figli, gli studenti, i bambini, i giovani, le nuove e le vecchie generazioni, i governati e i politici del futuro, a contemplare nella loro esistenza un ventaglio di possibilità enorme, seguendo la complessità dell’anima umana, piuttosto che limitarla con giudizi e divieti. Come sostiene Lingiardi, infatti, «Il mistero della sessualità umana non si esaurisce nei modelli teorici della psicoanalisi o della genetica: ogni discorso sulla sessualità deve fare i conti con la sua base poetica».
Mi piace pensare, quindi, che la ‘Famiglia arcobaleno’ possa istillare nei figli che vi crescono la spontaneità di una nuova ‘Poesia’.
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Nasce come autrice di romanzi, racconti, fiabe, ma pubblica anche biografie, articoli e interviste. Progetta eventi culturali e opere pubbliche occupandosi con passione di parchi, piste ciclabili e lavori ferroviari.

domenica 11 novembre 2018

Tra Fiaba e Leggenda (Mese di Novembre): La Magnolia dai Fiori di Porpora di Patrizia Boi su Tottus in Pari di Massimiliano Perlato


http://www.tottusinpari.it/2018/11/11/tra-fiaba-e-leggenda-mese-di-novembre-la-magnolia-dai-fiori-di-porpora/?fbclid=IwAR1DxYAS-TLiFhtfeioGjYJC7o54KyVkPO1s_OsK5ebvqZu-7b0nEGUy1pw




TRA FIABA E LEGGENDA (MESE DI NOVEMBRE): LA MAGNOLIA DAI FIORI DI PORPORA



Sergio Pessolano, Magnolia

di PATRIZIA BOI
In un’isola dell’oceano esisteva un giardino, elegante abitazione di deliziose Magnolie stellate. I loro abiti verdeggianti con i rami rivolti al Sole, erano colmi di generosi germogli, che effondevano i loro effluvi grazie a brezze leggere.
Tra le magnolie più belle c’era Weleda, regale e leggiadra, la più antica della specie: il suo fusto vestito di verde brillante spiccava per la compostezza delle foglie e per la tenerezza dei germogli. Quello che la rendeva unica e rara, però, era la magnificenza della sua fioritura, quegli enormi fiori purpurei che sbocciavano esprimendo passione selvaggia e sprigionando un profumo irresistibile.
Per questo era considerata la regina delle piante in fiore, una femmina affascinante da accarezzare su ogni petalo, anche quando i fiori si aprivano e cadevano al suolo vestendo la terra di un manto purpureo. Il suo abito spoglio di quei colori la poteva far sembrare una pianta comune, ma un occhio attento ne avrebbe senza dubbio compreso il temperamento. Era sensuale anche l’aspetto delle sue foglie, il loro espandersi verso l’alto, sdoppiandosi al calore del sole per dare altri rami, germogli e fiori. Weleda era un concentrato di sensualità, sensibilità e purezza, sapeva cogliere le vibrazioni del Cosmo ed estendersi verso il mistero dell’estasi. I suoi fiori ben rappresentavano l’intensità del suo slancio, essi erano vitali anche quando si staccavano per viaggiare lontano e svelare agli uomini i loro misteri e talenti, come se fossero legati da un filo invisibile.
Noi siam fiori attenti
sveliamo i tuoi talenti
tessiamo a voi destini
come saggi indovini.
Se una musica ci chiama
tutto il fiore e la sua brama
su nel cielo piano sale
a danzare sopra il mare.
Un bel giorno due fiori si staccarono dai rami di Weleda e cominciarono a danzare. Sentivano la musica di una terra lontana che prometteva interessanti misteri. Legati da questa irresistibile voglia di viaggio ballarono per giorni e notti volando sopra il mare blu. Inseguendo una farfalla azzurra giunsero nella valle dell’edera dove conobbero lo Spirito dei ciclamini, nudo come spesso appare l’essenza delle cose per rivelare l’enigma racchiuso nel suo fiore, l’espressione dell’amore più puro, quello gratuito e senza pretese.
I fiori respirarono quel profumo intenso e poi volarono sopra le nubi andando verso mille primavere, spinti dal vento e dalle brezze. Nelle notti senza luna, un gufo brillante li guidava nel buio con la luce dei suoi occhi. La mattina invece era un uccello azzurro a indirizzare la loro danza verso una terra fertile e ricca di fauna.
Guarda come gli animali
sono autentici e geniali
che sian scimmie o giraffine
elefanti o panterine.
Sono piccoli o giganti
le pellicce ben pesanti
tigri puma e poi leonesse
della giungla principesse.
Tra i macachi un bel pitone
s’attorciglia sul troncone
un’iguana canterina
canta tutta la mattina.
Mentre il coccodrillo sbava
l’ippopotamo si lava
con la sua andatura lenta
e il serpente s’addormenta.
Aspettando il gran risveglio
il leone è bello sveglio
tra una pianta e una liana
corre e sogna la savana.
Mentre i fiori svolazzavano nella luce scintillante osservando gli animali della savana, passava da quelle parti il principe Lug, un uomo alto, diritto sulle gambe forti, con un volto candido e amabile e una folta capigliatura bionda dai riflessi rossi. Notò subito quei fiori e fu abbagliato dallo sfavillio dei loro colori, dalla passione che sprigionavano, dalla gentilezza, dalla curiosità del loro aspetto, dalla genuinità del loro immenso sorriso. Si fermò per raccoglierli e, con le sue mani garbate, cercò di comprenderne l’energia pura e di prendersi cura di loro. Lug li condusse attraverso valli incantate, percorsero colline dolci e versanti impervi, strade tortuose e corsi d’acqua impetuosi, fino a raggiungere il magico paese degli Esseri Elementali, un mondo dove ognuno di questi spiriti stava a guardia di una “porta”.
Il Principe accomodò i due fiori sopra il mantello e s’incamminò verso la direzione del Nord raggiungendo la Porta della Terra dove lo attendevano un centinaio di piccoli e tozzi gnometti. Uno di loro s’avvicinò amabilmente e gli disse:
Preserviamo noi l’ambiente
la ricchezza originaria
stiamo bene nel presente
volteggiando un poco in aria.
Siamo bassi di statura
occhi lucidi e gentili
una piccola ossatura
per scavar tra i vostri fili.
Lo gnomo poi sorrise burlone, fece un salto, s’avvicinò e gli sussurrò le storie del bosco, delle foreste di querce, delle meravigliose Driadi dagli abiti di foglie e delle fanciulle custodi dell’albero stesso.
Quando Lug fu soddisfatto di quanto aveva visto e udito, volle entrare in una grotta e dormire per una settimana intera. Uscì che era abbagliato dalla luce del sole, gli era cresciuta una lunga barba che rifletteva lo stesso colore dei fiori addormentati anche loro per tutto quel tempo. Alla luce i fiori ripresero il loro aspetto risplendente e si stiracchiarono allungandosi verso l’alto pronti a riprendere il cammino.
Stavolta Lug prese la direzione dell’Ovest e s’incamminò lungo un sentiero che saliva inerpicandosi su un dirupo senza fondo. Un suono assordante gli attraversava le orecchie man mano che s’arrampicava e il passaggio si faceva sempre più stretto finché non scomparve improvvisamente per lasciare il posto a una cascata. Quella era la Porta dell’Acqua, dove s’imbatté nelle deliziose Nereidi Azzurre, splendide ragazze dai capelli ricci e vaporosi e gli occhi chiari che vivono in torrenti, fiumi, laghi, cascate e oceani. Alcune di loro si libravano felici e rapide sopra gli schizzi dell’acqua, altre restavano celate nella calma e fresca profondità degli specchi d’acqua sotto la cascata. Erano vestite solo delle loro lunghe chiome fluttuanti e cantavano così:
Siamo vive esuberanti
noi molteplici e cangianti
se viviamo nei torrenti
o nei fiumi sorridenti.
Vieni qui ti liberiamo
dai dolori e dalle pene
abbandonati al richiamo
noi tagliamo le catene.
Lug fu attratto da quel canto sublime e stava già per buttarsi tra le braccia di una fanciulla, ma i fiori lo sollevarono in aria aiutandolo ad oltrepassare quella porta. Volarono quindi sopra una collina e atterrarono in un campo di girasoli sopra una capanna dove Lug poté riposare per un mese intero.
Al suo risveglio prese la strada del Sud e si ritrovò in una specie di deserto costellato di vulcani che eruttavano continuamente. I fiori erano terrorizzati, ma Lug non si fece spaventare dai fumi e dalle lave che vedeva in ogni direzione, anzi seguì il mistero di quel calore fino a incontrare le bellissime Salamandre Rosse, creature agili e snelle, come potenti lingue infuocate che vigilavano sulla Porta del Fuoco. Poi vide le Fate del fuoco, piccole luci svolazzanti come Fiammelle che eruttarono queste parole:
Infuocate di passione
calde accese e svolazzanti
distruggiamo ogni ragione
nella mente dei passanti.
Non far spegnere la fiamma
dentro questa tua armatura
la natura ti richiama
e ti offre gioia pura.
Lug era diventato fluido al messaggio delle Fiammelle e i fiori rosseggiavano più splendidi che mai, ma una raffica di vento fece volare il principe e i suoi fiori lontano lontano. Precipitarono sopra una nube morbida e cascarono addormentati per un anno intero.
Al risveglio la pioggia cadeva intensamente dalla nube che si disciolse trasportandoli in un cerchio fatato fatto di bollicine d’aria. Il sole sorgeva luminoso e splendente e la stella del mattino indicò a Lug la direzione dell’Est per raggiungere la Porta dell’Aria, dove le evanescenti e ingannevoli Silfidi Celesti lo sballottarono tra i venti. I fiori danzarono sopra alte montagne e discesero in una ventosa pianura disseminata di margherite. Una fatina azzurrina, uscì da un vortice e disse:
Amo assai la mia espansione
e la insegno a ogni passante
porto la trasformazione
nella nebbia evanescente.
Non temere il cambiamento
prendi sempre la sua strada
puoi star  certo più contento
con la testa e il mondo in aria.
Lug rimase incantato ad ascoltarla, i suoi piedi si erano già distaccati da terra e i suoi capelli svolazzavano brillanti nel turbine di venti che in quel momento lo attraversava. I fiori s’aggrapparono alle sue orecchie e un suono di violini si diffuse nell’aria profumata di gigli e narcisi. Il principe si ritrovò immediatamente nella valle dei fiori e un sonno immenso lo costrinse a precipitare in un mondo incantato popolato di meravigliose creature. Lug non si sarebbe mai risvegliato, sarebbe rimasto per sempre in mezzo a quei fiori che diventavano fanciulle e poi fatine e poi farfalle, ma i fiori di magnolia s’accorsero anche dei miasmi scuri che aleggiavano tra i petali e lo costrinsero a salire sopra un carro magico che li avrebbe portati via. Quando Lug si risvegliò era sereno e si trovò in un campo di papaveri dove lo Spirito dei papaveri gli narrò della magia dei prati in fiore.
Il Principe assimilò queste conoscenze e le trasmise ai purpurei fiori di magnolia, quindi si fece avvolgere dal vento del cambiamento, prese i fiori rinfrescati dalle brezze e oltrepassò la barriera dell’aria.
Dopo aver viaggiato attraverso le quattro porte, i fiori di magnolia erano diventati carnosi e fiammeggianti, freschi e profumati come la loro prima fioritura. Allora condussero Lug nel giardino delle Magnolie, dove ritornarono al loro posto tra le braccia di Weleda. In quel momento la Magnolia fiammeggiò e le foglie divennero istantaneamente di un magico verde brillante. Lug fu affascinato dalla magnificenza di quella Magnolia e le accarezzò dolcemente i petali. Improvvisamente Weleda si trasformò in una graziosissima fanciulla dal faccino bianco con le gote rosee, le labbra rosso fragola e gli occhi azzurri come un’acquamarina. I boccoli biondi le scendevano scintillanti sulla schiena ricoprendola di un manto dorato. Un Pipistrello bianco apparve quella mattina per annunciare:
Una Magnolia in arte stellata
con le maniere gentili da Fata
con il vestito caldo e solare
in una zolla non vuole stare.
Nella magia di quel giardino
lui la trasforma con un inchino
da cavaliere vero e regale
che ogni  fiore sa accarezzare.
Weleda, finalmente libera dalla sua forma vegetale, si ritrovò accanto a Lug in carne e ossa, ma in quel momento un lampo brillante illuminò le altre piante e subito dopo venne un buio agghiacciante. La notte durò pochi minuti perché pian piano la luce invase di nuovo il giardino.
Fu con grande stupore che Weleda si accorse che al posto di ogni pianta c’erano tante bellissime fanciulle e tanti uomini vestiti con abiti eleganti. C’era il suo altissimo e splendido padre, il Re del paese di Magnolia, la sua incantevole Madre, la Regina dei fiori, oltre che tutte le sue amiche, le damine di corte e tutti gli abitanti del suo Regno. Così la famiglia fu riunita, la corte fu al completo e un enorme palazzo di cristallo brillante emerse immediatamente al centro dell’isola.
Lug rimase abbagliato da tanto splendore e abbracciò con gioia la sua splendida fidanzata. Le nozze vennero celebrate immediatamente e il Regno fu per sempre un luogo di gioia e allegria.
Questa è la storia di Lug e Weleda
della famiglia ormai tutta intera
di gentilezza che porta rispetto
come se il mondo fosse perfetto.
Anche se spesso si strappa un fiore
e lo si fa come un gesto d’amore
poi nella pianta nasce il dolore
che non dimentica mai nel suo cuore.
Ogni bel fiore dal gesto vivo
sogna l’amore casto e giulivo
freme di gioia e di passione
anche se il tempo crea un’illusione.
E se sfiorisce presto il suo ballo
ed il suo stelo diventa giallo
per la durata che gli è concessa
vuol essere degno d’una  principessa.
Così riempie di gioia il cuore
che non s’annoia mai dell’amore
che coglie l’attimo di ogni presente
e si entusiasma beatamente.