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Roma, Roma, Italy
Scrittrice di romanzi, racconti, fiabe, favole e storie per l'infanzia. Autrice del romanzo "Donne allo specchio" Mef Firenze, della raccolta di Fiabe "Storie di Magia" Happy Art Edizioni Milano, del volume LegenΔe di Piante - Nostra Protezione ed equilibrio in terra (una raccolta di 12 leggende sulle piante ambientate nei dodici mesi dell’anno) pubblicato a puntate nel 2014 su Wall Street International Magazine.Nel giugno 2017 ha pubblicato per la Collana I Cortili della Casa Editrice dei Merangoli, il Saggio Ingegneria Elevato n - Ingegneria del Futuro o Futuro dell’Ingegneria?, scritto a quattro mani con suo fratello Maurizio Boi, con 150 Immagini Colore/BN del fotografo Sergio Pessolano.

domenica 31 dicembre 2017

BUON 2018 con "Il Fuoco di Capodanno: la Poesia di Alessandra Peralta"

BUON 2018 A TUTTI!


Quando l’anno volge al termine, il Fuoco rappresenta un passo necessario. 
Accendere falò, fare fiaccolate, far esplodere fuochi d’artificio, ha un duplice significato. 
Da un lato si configura come un rito simbolico - per dirla con Cattabiani -, per bruciare «le disgrazie, i peccati, le tragedie dell’anno che finisce» con fuochi di purificazione. ù
Dall’altro lato questi riti erano simbolicamente ricollegati alla Rinascita del Sole, con la funzione di «aiutare a crescere il sole bambino, il sole gracile che doveva vincere l’ostilità delle tenebre invernali». 
Nella notte di Capodanno i botti, i tappi dello spumante conferiscono un ritmo al passaggio tra l’Anno Vecchio e l’Anno Nuovo, di simbolica Morte e Rinascita. 
Il Tredici è il numero del Capodanno e rappresenta il ‘rinnovamento’, la trasformazione e il mutamento fisico e iniziatico per condurci alla comunione con l’Uno.

Capodanno, tutto un Fuoco

La poetessa Alessandra Peralta

31 DICEMBRE 2017, 
Canne metalliche a Galte
Canne metalliche a Galte
Quando l’anno volge al termine, il Fuoco rappresenta un passo necessario. Accendere falò, fare fiaccolate, far esplodere fuochi d’artificio, ha un duplice significato. Da un lato si configura come un rito simbolico - per dirla con Cattabiani -, per bruciare «le disgrazie, i peccati, le tragedie dell’anno che finisce» con fuochi di purificazione. Dall’altro lato questi riti erano simbolicamente ricollegati alla Rinascita del Sole, con la funzione di «aiutare a crescere il sole bambino, il sole gracile che doveva vincere l’ostilità delle tenebre invernali». Nella notte di Capodanno i botti, i tappi dello spumante conferiscono un ritmo al passaggio tra l’Anno Vecchio e l’Anno Nuovo, di simbolica Morte e Rinascita. Il Tredici è il numero del Capodanno e rappresenta il ‘rinnovamento’, la trasformazione e il mutamento fisico e iniziatico per condurci alla comunione con l’Uno.
Nelle fiabe nessuno può aprire la Tredicesima Porta senza che avvenga una trasformazione. Per questo voglio associare la Festa di Capodanno ad Alessandra Peralta, una regista emergente, anch’essa sarda come la Deledda, di un piccolo centro culturale come Nuoro, Ozieri, partita dal suo paese verso la capitale per realizzare il sogno di diventare attrice.
Alessandra è un astro nascente della poetica sarda - germogliata da quel seme piantato dall’antenata Grazia -, che apre la Tredicesima Porta con la telecamera. Riprende gli scorci del mondo creando immagini, sequenze, inquadrature che fissano l’obiettivo sulla poesia mediante il matrimonio con la musica. I suoi documentari sono «guidati dalla volontà di misurare ogni vicenda con la lente dell’anima, trasformando in emozioni e poesia gli eventi più tragici»: anche laddove la realtà sembra essere stata cruda e implacabile lei riesce a vedere un canto, una danza, un ricordo sfuocato che emerge improvvisamente dal terzo occhio. Nell’ultimo anno Alessandra ha firmato la regia di una serie di speciali per Rai Scuola su Auschwitz, Falcone e Borsellino, il Femminicidio, il Bullismo, lo Spazio, la Sicurezza Stradale, la ‘Danza Musica e Teatro’ e naturalmente sulla Deledda. Quest’ultimo speciale di Pietro De Gennaro è intitolato Come il vento che forgia le cose, autore Alessandro Greco.
Che Alessandra sia una donna sarda si comprende subito dalle prime immagini, dalle inquadrature dei paesaggi cari alla Deledda, dal trasporto con cui mette in luce il gioco tra le nuvole e il cielo, le piante che si intrecciano tra le case, che fuoriescono dalle finestre, che accompagnano le vie desolate, che spuntano nei terreni immersi nella macchia. La Regista conosce bene i discorsi del vento che sibila tra le pietre, tra i graniti rosa e quelli grigi, tra i grandi massi megalitici e le tombe disseminate ovunque. E comprende i sospiri che attraversano gli ulivi, le verdi distese argentate, i boschi di lecci e castagni, i ginepri protesi sul mare, i mirti e i lentischi colmi di bacche.
La scelta di Neria come voce narrante e come presenza scenica tra le strade deserte incorniciate di alberi, è un inserto che appartiene già al paesaggio. Mentre Neria sale sulla strada di Galtellì dando voce alla Deledda di Canne al Vento, nelle sue parole affiorano i rovi, l’euforbia e naturalmente le canne ad esprimere sensazioni e stati d’animo. I romanzi di Grazia sono disseminati di piante, di cui lei esalta caratteristiche, colori, profumi. La Sardegna è una terra selvaggia, ricca di vegetazione, di luoghi incontaminati, di fiori che crescono nei posti più impensati, nei terreni aridi, sulle spiagge, in cima alle montagne, nelle foreste più intricate. Alessandra e Neria conoscono questi luoghi, ne respirano ogni magia, li percorrono con il cuore aperto e i sensi pronti a coglierne ogni misterioso aroma, ogni sottile fruscio, ogni impercettibile sibilo di vento. Il vento fa da cornice a questo mondo colmo di pietre e sassi che si sposano con le distese selvagge di fichi d’India, di corbezzoli, di lentisco e ginepro, di frutti saporosi e profumati. E proprio le canne descrivono il popolo sardo, costantemente scosso da una natura gentile ma inesorabile, che schiaffeggia insistentemente il territorio con le sfuriate di Eolo. Spesso le piante crescono storte, riverse su un lato, come se fossero protese verso il mare, verso un baratro o in direzione dell’infinito. Gli abitanti dell’isola sono sospinti come le canne, nella direzione del vento che soffia, perché è proprio «il vento che forgia le cose», le forme delle pietre, le sagome delle montagne, i profili misteriosi degli alberi.
Roberta Deiana nel suo libro La cucina delle Janas (Blu Edizioni 2012) si prende ‘la briga e di certo il gusto’ – visto che siamo in tema di arte culinaria – di andare a cercare le citazioni di Grazia sulle piante: scopriamo novelle costellate di queste corporature vegetali, vive e vigili come elementali. Ecco, quindi, dentro la chiesa «l’altare era tutto adorno di rami di corbezzolo coi frutti rossi, di mirto e di alloro: i ceri brillavano tra le fronde e l’ombra di queste si disegnava sulle pareti come sui muri di un giardino (“Il dono di Natale”)». Sembra che questi alberi, i loro rami e i loro frutti siano protagonisti della scena, siano anzi essi stessi la scena che rappresenta il Natale.
Oppure l’arrivo della stagione primaverile, con i suoi colori e i suoi profumi viene quasi dipinto in questo passo tratto dalla novella In sartu: «Dai massi sovrapposti dell’altura piovevano grandi grappoli di rovi verdeggianti e di biancospino fiorito. Le rose canine, diafane, sfumate in colore d’ambra, olezzavano acutamente, e il ruscelletto attraversava gorgogliando il sentiero per poi sparire tra le alte ferule anch’esse fiorite…».
Sembra proprio di vederle le alte ferule, alte quanto una persona, vive e intense come eleganti fanciulle dal cappello giallo; esse passeggiano nel bosco per cercare frescura e riparo dal sole. Ma il sole risplende inesorabile in Sardegna, caldo e appagante, si riflette sui colori dei frutti, nella clorofilla delle foglie, nel luccicare delle chiome che gli sono esposte. Guardate che gioco di colori si scorge nella novella La via del male: «Una vegetazione selvaggia copriva i fianchi della valle; tra il verde cinereo dei fichi d’india e degli olivi brillava il verde smeraldino della vite, e la vitalba s’intrecciava al lentisco lucente». V’immaginate un viaggio in Sardegna senza lo sguardo sui fichi d’India? La terra ne è colma, crescono ovunque colorando ogni angolo di fuoco e spine: «L’edera e la pervinca coprivano le rocce; i sentieri appena tracciati scendevano e salivano, tra i rovi e i cespugli; macchie gigantesche di fichi d’india, dalle foglie pesanti nate le une sulle altre, incoronate di frutti e fiori d’oro, sorgevano sui ciglioni e s’arrampicavano sulle chine».
Questa è la via del male, è il calvario di spine e bellezza che ogni sardo percorre, in particolare se lascia l’isola per cercare fortuna altrove, come Grazia, Alessandra e Neria, spinte dalla passione, dalla sete di conoscenza, dalla ricerca di uno spazio più grande, più aperto, più connesso. Eppure si portano dentro l’Isola, in connessione costante con la Terra anche a distanza, come emerge da questa confessione di Grazia. «Quando cominciai a scrivere non usavo la materia che avevo a portata di mano come materia prima, per plasmare la mia opera d’arte. Se continuai a usare questo materiale per tutta la vita è perché so quel che ero quando mi formai, legata intimamente alla mia razza e la mia anima era uguale ad essa. Quando frugai in fondo all’anima dei miei personaggi, era nella mia anima che frugavo. E tutte le angustie che ho raccontato in migliaia di pagine nei miei romanzi e che tanta pena vi hanno fatto, erano i miei dolori, le mie angosce, i dubbi, le lacrime che io piansi».
Per Natalino Sapegno la scrittrice «si calava nella sua nostalgica fantasia», mentre Benedetto Croce esprime le sue riserve sul suo lirismo intriso di un certo «regionalismo sentimentale». Gli svedesi, comunque, dovettero dargli torto. Alessandra lascia correre giudizi e pregiudizi e inquadra Neria nella cucina della scrittrice, il luogo del focolare domestico, dispensatore di cibo fisico e metafisico, elemento fondamentale dell’ospitalità sarda.
Grazia era una scrittrice, abile anche nei lavori cosiddetti ‘donneschi’, tanto che cucinava personalmente dedicandosi con passione alla preparazione del cibo anche nella sua casa romana. In una lunga lettera a un suo fidanzato (Nuoro, 10 dicembre 1892), infatti, scrive: «Molti credono che io non sappia altro che scrivere… Io so e mi vanto di sapere tutto ciò che sanno le donne di casa, anzi lavoro meglio delle altre perché nei lavori donneschi, come sarebbe nei ricami e nei pizzi e in tutti i piccoli gingilli dietro cui le donne passano il tempo, io ci metto l’arte ed il gusto che esse non conoscono». Nel documentario emergono anche altri aspetti messi in luce dagli studenti del Liceo Artistico Ciusa di Nuoro, un ritratto dai toni sfumati, una Deledda diva della Pop Art, un disegno dove tra tutte le maschere Grazia viene descritta come «unica mosca bianca in un contesto fatto di perbenismo e di bigottismo» e aggiungerei anche di provincialismo.
Grazia, Alessandra, Neria, evadono dall’isola per raggiungere un mondo dove è possibile essere se stessi, esprimere i propri pensieri, indossando ogni maschera disponibile per interpretare tutte le parti che abbiamo dentro. Alessandra a teatro, ha poi scoperto sincronicamente la regia televisiva che gli ha consentito di esplorare meglio il suo mondo interiore attraverso le maschere degli altri personaggi che le scorrevano davanti.
E concludo raffigurando Alessandra come una piccola ferula slanciata, elegante nel suo grazioso cappellino chiaro, con il volto velato di pudore, che sorride soddisfatta dopo aver inquadrato il volto carico di saggezza della sua anziana Antenata. Indossa il suo mantello smeraldino, volta le spalle e cammina risoluta verso il suo altrove, mentre in petto le batte un cuore carnoso come un frutto maturo del fico d’India, pieno di spine misteriose ma rosso di passione, pronto per un Capodanno di Fuoco.
Guarda gli Speciali di Rai Scuola Come il vento che forgia le cose

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Cattedrale di Galtellì
Brocche nella casa natale di Grazia Deledda

Chiesa della solitudine
Libri in casa Deledda
Statua del Redentore
La Panedda
Didascalie
  1. Cattedrale di Galtellì
  2. Brocche nella casa natale di Grazia Deledda
  3. Chiesa della solitudine
  4. Libri in casa Deledda
  5. Statua del Redentore
  6. La Panedda


mercoledì 27 dicembre 2017

Frasi Celebri di Patrizia Boi pubblicate sul Sito http://www.frasicelebri.it/utente/263916/frasi/

http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-non-ce-nulla-che-resta-per-sempre-pen/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-bisogna-imparare-a-sentire-linterconn/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-la-societa-aperta-la-persona-aperta-l/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-anche-il-piu-terribile-mostro-se-guar/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-per-essere-considerati-dei-poeti-non/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-ogni-innovazione-offre-uno-stimolo-ma/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-dal-silenzio-tutto-si-genera-nel-sile/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-che-cose-in-realta-la-vita-se-non-una/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-non-e-detto-che-le-migliori-idee-sian/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-non-posso-rinunciare-ai-miei-quadri-a/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-occorre-cambiare-mentalita-stravolger/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-i-dispositivi-di-realta-virtuale-e-re/
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-la-metamorfosi-e-gia-in-atto-il-carro/
 LegenΔe di Piante
http://www.frasicelebri.it/frase/patrizia-boi-a-primavera-i-castagni-si-risvegliano/

martedì 26 dicembre 2017

Frase del giorno tratta dal capitolo "Il Progresso è inevitabile" del libro dell'autrice "Ingegneria Elevato n – Ingegneria del Futuro o Futuro dell’Ingegneria" scritto con Maurizio Boi ed edito da Dei Merangoli Editrice sul tema "sfide, sogni, umanità" pubblicata sul Sito http://www.frasicelebri.it/utente/263916/frasi/


Sergio Pessolano, Una ragazza si reca in bicicletta al mercato di Hué, Vietnam.

“Dobbiamo essere anche noi professionisti, aperti a realizzare un sogno di benessere per tutta l’Umanità, connettendo i pezzi di quell’organismo macroscopico che tutti noi componiamo e guardando con fiducia alle sfide che ci offre il nostro prossimo futuro.”
COMMENTO DELL'AUTORE DELLA FRASE: frase tratta dal capitolo "Evoluzione del modello di business" del libro dell'autrice "Ingegneria Elevato n – Ingegneria del Futuro o Futuro dell’Ingegneria" scritto con Maurizio Boi ed edito da Dei Merangoli Editrice

[Tag: sfidesogniumanità]


Sergio Pessolano, Monache Jainiste scendono dal complesso dei templi di Palitana,
Stato del Gujarat, India.

domenica 24 dicembre 2017

Grazia Deledda e il Natale

https://wsimag.com/it/cultura/34048-dicembre-mese-del-nobel

Dicembre, mese del Nobel

Omaggio a Grazia Deledda

24 DICEMBRE 2017, 
Grazia Deledda
Grazia Deledda
Quest’anno voglio onorare le feste dedicandole a un trio di donne unite da un destino comune: Grazia Deledda (Natale), Alessandra Peralta (Capodanno) e Neria De Giovanni (Epifania). La sincronicità le ha messe in contatto nel settembre 2017 in occasione dell’Anniversario dell’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura (1926) alla Nostra Grande Antenata.
Non bisogna credere che sia facile giungere a un traguardo così importante, soprattutto se si nasce ‘Donna’, in una piccola realtà di seimila anime. Anzi, questo potrebbe fungere da stimolo a prefiggersi una missione! Sono davvero pochi quelli che hanno seguito la propria missione come Grazia, nonostante questo svantaggio. Nei documenti ufficiali del Comune di Nuoro del 1871, infatti, si legge: «Il 28 Settembre è nato un bambino di sesso femminile».
Si tratta, per l’appunto, di Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, unica donna italiana ad aver vinto il Nobel per la Letteratura insieme a Carducci, Pirandello, Quasimodo, Montale e Dario Fo, nonché una delle dieci nel mondo che abbiano raggiunto tale traguardo. È stata sempre risoluta Grazia, ha impugnato la penna da adolescente, quando ancora non sapeva scrivere in italiano, e non l’ha mai abbandonata. Eppure ci hanno provato in molti a dissuaderla. Ad iniziare dalla propria famiglia, dall’ambiente in cui era cresciuta, dal suo paese, dalla sua Isola. In una intervista radiofonica negli anni venti afferma, infatti: «La mia famiglia era composta di gente savia, ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere a tredici anni fui contrariata dai miei…».
Sua madre l’ha osteggiata perché non si addiceva a una signorina di buona famiglia scrivere, raccontare passioni proibite, descrivere le verità nascoste, esprimere un giudizio, un pensiero e soprattutto evidenziare i limiti della società sarda dell’epoca. Che del resto non appartenevano solo a quella primitiva Sardegna di pastori e banditi del 1900 – , ma anche a tutte le altre società patriarcali, indipendentemente dallo sviluppo culturale del luogo e della comunità.
Altrimenti che bisogno avrebbe avuto Simone de Beauvoir - la celebre compagna di Sartre - di scrivere il suo saggio Il secondo sesso introdotto da queste parole? «Che cosa è una donna? L’enunciazione stessa del problema mi suggerisce subito una prima risposta… A un uomo non verrebbe mai in mente di scrivere un libro sulla singolare posizione che i maschi hanno nell’umanità. Se io voglio definirmi, sono obbligata anzitutto a dichiarare: “Sono una donna”». Eppure Simone, nel 1949 - quando uscì il libro che divenne opera cardine del pensiero femminista -, viveva liberamente a Parigi, in una Francia ormai lontana dai disastri della Guerra e dalla successiva ricostruzione necessaria.
Senza nulla togliere alla grandezza delle femministe più accese e accanite – delle cui battaglie abbiamo beneficiato tutte noi -, potrei riflettere sul modo di lottare di Grazia. La sua battaglia l’ha fatta con la penna, ha spedito lettere a tutti, scrittori ed editori, politici e governanti, intellettuali e artisti; anche quando pareva impossibile che fosse ascoltata, lei, una giovane fanciulla che aveva frequentato solo la quarta elementare, non si è mai arresa.
Lo scienziato Giampiero Abbate sostiene che il mondo è fatto di dualità e creare il Bene in contrapposizione al Male, crea anche il Male, per cui fare una marcia sulla pace genera la guerra e, così per esteso, creare un Movimento Femminista, potrebbe intensificare il conflitto di genere. La Deledda ha osservato, guardato, visto e descritto la grandezza della donna sarda, il coraggio, il carattere indomito e selvaggio, forse pensando a se stessa, ma ha anche creato personaggi maschili amabili come Efis - uno dei protagonisti del Romanzo Canne al Vento. Poi si è trovata un compagno di vita - quel Palmiro Malesani che l’ha condotta nella capitale - , e ha lasciato che la aiutasse a realizzare il suo sogno.
Per questo è stata criticata, nientedimeno che dal grande Pirandello in persona che si è premurato di scrivere un’opera caricaturale su suo marito. Non poteva preoccuparsi dei problemi familiari generati dalla follia di sua moglie - quella Antonietta Portulano, ''affetta da delirio paranoide'', che la rendeva ''pericolosa per sé e per gli altri''? Perché mettere in ridicolo la vita di una collega e amica? Eppure Pirandello era ed è ancora grande, ne ho apprezzato gli scritti già nella mia adolescenza. Del resto come scrive sempre Simone «La magia femminile è stata profondamente addomesticata nella famiglia patriarcale» e, se una donna prova a liberarsi, chi è affetto da questa programmazione ne viene infastidito.
E sostiene, altresì, che «L’ideale dell’uomo medio occidentale è una donna che subisca liberamente la sua egemonia, che non accetti le sue idee senza discuterle, ma finisca per accedere alle sue ragioni, che gli resista con intelligenza per farsi convincere alla fine». E se una donna si allea con suo marito che segue la sua missione perché ne riconosce la grandezza, come si permette?
A Grazia, forse, questo atteggiamento è dispiaciuto, ma è stata in grado di guardare avanti passando oltre. Rossana Dedola, autrice della biografia, Grazia Deledda. I luoghi, gli amori, le opere (Avagliano, 2016), la rappresenta come una scrittrice dal respiro europeo, capace di coltivare contatti culturali con personaggi come Federigo Tozzi, Marino Moretti, Matilde Serao, Eleonora Duse, Sibilla Aleiramo, lo stesso Pirandello, ecc., ma anche con personalità di spicco internazionale. La studiosa sassarese afferma che la Deledda ebbe successo anche perché suo marito gli fece quasi da agente letterario. Quando Virginia Wolf parla di Jane Austen ed Emily Brontë, sostiene che ci volle molto coraggio per non farsi schiacciare dall’atteggiamento patriarcale, dalle critiche che venivano da parte del mondo maschile. Pur tuttavia, la Dedola fa notare che queste donne, così come Grazia Deledda, seppur oppresse, «non manifestarono mai un sentimento di acrimonia» nei confronti del mondo maschile ma anziché farsi limitare dalla rabbia trasformarono quell’emozione negativa «in letteratura, in grandi romanzi, in amore per la vita, in slancio verso tutto ciò che di bello e di positivo la letteratura può raccontare».
Tutta la vita di Grazia è stata davvero un caso straordinario di emancipazione femminile! E poiché, per dirla sempre con la Beauvoir «Donna non si nasce, lo si diventa», Grazia ha acquisito una tale consapevolezza di sé da poter sostenere «Ho avuto tutte le cose che una donna può chiedere al suo destino».
È questo il motivo, prettamente personale, per cui la Deledda ha dedicato sessant’anni della sua vita alla scrittura? La risposta è anche in un documentario pubblicato in calce all’articolo: «Io non sogno la Gloria per sentimenti di vanità e di egoismo, ma perché amo immensamente il mio paese. Sogno un giorno di poter diradare con il mio coraggio le foschie ombrose dei nostri boschi, narrare intera la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri, così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza… Avrò tra poco vent’anni, a trenta voglio avere raggiunto il mio scopo, quello di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda. Sono piccina piccina… ma sono ardita e coraggiosa come un gigante. L’essenziale è di scuotere tutti i sardi, tutta l’Isola». E lei è riuscita a scuoterli, nel bene e nel male, ha fatto conoscere il suo popolo a tutto il mondo, ha piantato un seme nei cuori dei suoi lettori e lo ha coltivato in ogni istante.
Mentre Grazia viaggiava nel treno del Nobel – come afferma Neria De Giovanni - «Fuori la affascinano le fattorie dalle grandi finestre scintillanti, i laghi gelati, il nero degli abeti e delle betulle. Quelle distese quasi disabitate, le fattorie isolate, le ricordano le campagne della sua Sardegna… Non si meraviglia della neve perché dice che nella sua Nuoro le notti invernali sono gelate».
Grazia conosceva bene i cicli della natura, li osservava e se ne stupiva, amava le piante, gli alberi, le pietre, i silenzi del vento, la magia della montagna incantata che guardava dal suo cortile, lo spumeggiare delle onde negli scogli del suo mare, la trasparenza delle acque della sua Isola. Sapeva bene, per dirla con Alfredo Cattabiani (Il Lunario – Oscar Mondadori) che «La neve costringe il seme di grano a svilupparsi sotto terra, mentre la pioggia può alla lunga provocare l’uscita prematura del germoglio che non soltanto sarebbe privo d’un robusto sistema di radici capaci di sostenerlo durante la crescita e nei periodi aridi, ma rischierebbe anche di bruciare per le gelate». Grazia è stata questo seme, piantato in un terreno gelato, carico di radici profonde e abbarbicate alla propria terra e germogliato per tutti noi Sardi, contribuendo a una grande trasformazione che ancora si sta compiendo. Secondo Cattabiani, dicembre, il dodicesimo mese, è quello che «conclude, è segno di compimento, come dimostra il sole attraversando dodici segni in un anno». Il Dodici, «Chiamato ‘numero di Grazia e perfezione’, raffigura il perfetto equilibrio».
Mentre l’Anno si conclude, le notti diventano più lunghe e le ore di luce diminuiscono, allorché l’oscurità sembra regnare sovrana, nel momento di maggior trionfo, la Luce ritorna lentamente a rischiarare le nebbie dell’Inverno. E questo avviene dopo il 21 dicembre, giorno del solstizio invernale, Yule nel calendario celtico, per arrivare a Natale, che rappresenta la versione cristiana della Rinascita del Sole. Ecco perché a Grazia voglio dedicare il Natale: lei fa in modo che il ciclo si compia, «la morte del Vecchio Sole e la nascita del Sole Bambino, la sconfitta del Dio Agrifoglio, Re dell'Anno Calante, ad opera del Dio Quercia, Re dell'Anno Crescente».
Se la dovessi raffigurare come una pianta, infatti, sarebbe una piccola quercia, una sughera del bosco, con un grande capello pieno zeppo di foglie verdi e coriacee, con una moltitudine di ghiande ovali brune, il tronco ricoperto di un mantello di sughero rossastro, sanguigno come la sua passione.
Guarda il documentario Rai Scuola: Grazia Deledda: dagli inizi al premio Nobel

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Braciere della casa natale di Grazia Deledda
La Chiesa della solitudine
Scorcio dell cucina della casa natale di Grazia Deledda
Canne metalliche a Galte
Boa di struzzo, occhiali e immagine di Grazia Deledda
Canne metalliche e cielo a Galte

Didascalie

  1. Braciere della casa natale di Grazia Deledda
  2. La Chiesa della solitudine
  3. Scorcio dell cucina della casa natale di Grazia Deledda
  4. Canne metalliche a Galte
  5. Boa di struzzo, occhiali e immagine di Grazia Deledda
  6. Canne metalliche e cielo a Galte

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