L'aritmosofia di Agostino De Romanis
Un momento indefinibile e indefinito
Agostino De Romanis è soprattutto conosciuto per le sue “opere indonesiane”, che ha esposto in oltre quaranta anni di attività in tutto il mondo e particolarmente in Indonesia, dove l’artista ha vissuto a lungo e lavorato. La sua ricerca tuttavia non si esaurisce con quella straordinaria stagione, ma nella produzione del 2008-2010 realizza opere raffiguranti o richiamanti simbolicamente Numeri, in un ciclo definito All’origine delle cose. Per il nostro artista infatti, se tutto è ordine sostenuto dai numeri, l’uomo può trovare le sue risposte, e anche conoscere i misteri più nascosti riguardanti lo stesso Dio, dall’aritmosofia. Keplero, in una lettera dell’aprile 1599, scriveva: “Come prove di Dio, vi sono nell’assieme del mondo fisico, leggi, numeri e rapporti, contrassegnati dalla perfezione… ” e più avanti aggiungeva: “Queste leggi sono comprensibili per la mente umana… Poiché che cosa vi è nella mente dell’uomo all’infuori dei numeri e delle quantità?”. L’abate Gioacchino da Fiore (ca 1130-1202), teologo e scrittore, faceva le sue profezie servendosi dei numeri.
Questa recente produzione presenta quindi una scelta di soggetti incentrata sulle figure dei Numeri e sulla figura del suo ideatore, Agostino De Romanis, che si è dedicato con modalità tecniche similari alla rappresentazione della “vita silente dei numeri”, per realizzarne una serie e identificare il linguaggio dei numeri inanimati capaci di suscitare riflessione, turbamento, gioia, malinconia e per architettare in pittura una nuova psicologia dei numeri. Non è quindi la semplice riproduzione del numero che lo interessa, ma quello che vi è dietro, quel mondo parallelo che le anime sensibili riescono a percepire dietro il visibile. I numeri sono, parafrasando Carlo Carrà, “dei minatori che portano alla luce il dolore e la gioia che è in fondo all’anima”.
Seguendo questa linea spirituale, emozionale, De Romanis realizza una serie di opere raffiguranti l’1, il 2, il 5, il 7, il 30, eccetera, numeri dipinti ad olio sulla carta o sul cartone, come trame trasparenti di una realtà parallela, si tratta in sintesi, per citare J. Lotman, di una “crittografia per iniziati espressa in una lingua convenzionale esoterica” (La natura morta in prospettiva semiotica, in “Strumenti critici”, 1996). Ecco quindi La chioma dell’albero veste l’uno; Attraverso i due; 7dueduesette; 5-5-5 e il bianco del fuoco; Volo sul ventitré, L’autunno del ’72, solo per citare alcune delle opere più emblematiche.
Per realizzare questa idea, questo percorso, l’artista ha studiato l’antico, tali rappresentazioni si ritrovano infatti già nell’antichità, non mancando esempi medievali, e altrettanto importanti sono i bordi decorati dai miniaturisti fiamminghi che offrono un panorama vasto di lettere e numeri a partire dalla seconda metà del XV secolo. Tuttavia ciò costituisce un’eccezione nel campo della storia dell’arte. Più tardi, durante il periodo barocco, la rappresentazione dei numeri si evolse verso intenzioni didattiche o considerate un memento mori con richiami alla moralità, alla cabala, all’esoterismo.
Significato esoterico dei numeri e loro simbologia
I numeri racchiudono il codice segreto per interpretare l’universo, la valenza simbolica dei numeri è data dal loro valore qualitativo e dalle interazioni con tutti gli altri elementi strutturanti l’universo. Tutte le componenti dell’universo sono caratterizzate da una sequenza numerica che stabilisce il rapporto con tutto ciò che la circonda, le interazioni composte dai numeri vanno al di là di un mero calcolo quantitativo. In tutte le tradizioni antiche i numeri sono sacri, proprio perché permettono di comprendere l’ordine delle cose e le leggi del cosmo.
Per Agostino De Romanis l’idea del numero si svolge secondo le leggi che regolano il cammino umano, rendendolo di volta in volta diverso, femmineo o maschile, evidente o impercettibile. Nel rincorrersi dei secoli e delle contingenze artistiche, si susseguono le diverse immagini che l’uomo si è costruito per rappresentare la sua idea di numero rispecchiandovi, inconsapevolmente, se stesso. Cambiano i mezzi di espressione ma non le idee. E queste idee collocano nel Maestro di Velletri la figura dei numeri a metà tra quello che è materiale e quello che non lo è, il confine che rende la materia metafora dello spirito, con la luce che diventa l’essenza dell’opera, in un insieme di aria e materia in cui si perde l’anima. Questa sua natura effimera lo pone come la forza in virtù della quale si muove il cosmo, nell’inscindibile unità del divino.
I numeri di De Romanis nascono dalle forme barocche e con queste hanno in comune la ricerca di un contatto vitale con il pubblico, ma dalla concezione barocca si allontanano quando superano la dimensione teatrale per affidare all’incontro con lo spettatore un messaggio diverso, assolutamente personale, in cui si rintraccia un solitario e sorprendente cammino introspettivo. I numeri diventano narrazione di un incontro, contatto fugace del piano visivo (e quasi materiale) e del piano spirituale. A volte, in queste opere, l’immagine del numero si scompone o dialoga con altre figure che si avvicinano o si allontanano, in un movimento silenzioso che lo rivitalizza staccandola quasi dalla carta e alleggerendola in un modo aereo. È il caso di Nascite sul fondo rosso, I frutti del cuore, Il cane bianco, La danza, I fiori della vita nel ramo rosso, Nuove nascite. Ogni opera assume un aspetto autonomo, ma nello stesso tempo riconquista il proprio senso nella sua unione con le altre. La natura delle figure si riafferma nella sua divisione, che la costruisce e disgrega allo stesso tempo. E sempre il tempo si fonde con la visione d’insieme che lo vuole Assoluto, riassunto in un attimo eterno.
Le opere esprimono quindi la ricerca di quello che c’è oltre ciò che si può toccare, aprendo una finestra al di là del tempo che passa, oltre le forme che possiamo prendere, oltre la carta che possiamo disegnare, collegando la caducità dell’uomo con l’incorruttibilità di Dio, in un movimento corale in cui l’immagine diventa domanda a cui solo lo sguardo dello spettatore può rispondere.
Numeri e fine del mondo
Vi fu pure chi si cimentò in calcoli complicatissimi per individuare la data della fine del mondo. Questi calcoli si basarono maggiormente sulla data di nascita di Gesù Cristo e dalla teoria che poiché Dio aveva impiegato sei giorni per creare il mondo, la durata dello stesso sarebbe di seimila anni dopo la creazione. Genebraro, ad esempio, calcolò che Cristo era nato nel 4090 dopo la creazione del mondo e perciò la fine sarebbe avvenuta nel 2052. L’umanista e filosofo Pico della Mirandola (1463-1494) calcolò come nascita del Nazareno il 3958 e la data della deflagrazione del mondo il 2042. Il teologo, scrittore, cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), e il conte Gaetano Bonorius (1861-1923) fissarono la data della fine del mondo al 2030. Infine, ma non ultimo, l’abate Maltre calcolò la fatidica data alla fine del XX secolo o al massimo nel corso del XXI. Inquietante la vicinanza di queste date tra loro. Quelli che viviamo sono anni bui e su questo concordano sia le profezie religiose che laiche.
Le “presenze” e la “quarta dimensione” di Agostino De Romanis
Nelle opere recenti di De Romanis oltre ai numeri troviamo anche figure eteree, “presenze” la cui tonalità è sempre aperta e indefinibile. A livello di speculazione estetica e formale l’artista sperimenta diverse licenze pittoriche, come la cancellazione parziale dei contorni, l’inclinazione dei piani, i cambi di prospettiva; concetti che, rivisti e rivisitati, si ritrovano nella genesi di alcune composizioni di Paul Cézanne (1839-1906) e di Giorgio Morandi (1890-1964). Si tratta di un trascendentalismo fisico, di una “quarta dimensione, la dimensione dell’infinito” come la definì Max Weber nel 1910 (The Fourth Dimension from a plastic point of View, New York), o come afferma Guillaume Apollinaire in una conferenza del 1911 “dal punto di vista plastico, come si offre allo Spirito, la quarta dimensione sarebbe generata dalle tre dimensioni conosciute: essa rappresenta l'immensità dello spazio. È lo spazio stesso, la dimensione dell’infinito e dà plasticità agli oggetti” (Meditazioni estetiche, ed. Milano 1948).
Certamente, dietro l’uso del termine “quarta dimensione” c’è l’influenza della teosofia e delle scienze occulte. Certamente il rapporto tra arte, teosofia, scienza, positivismo, è un fenomeno di vaste dimensioni che ha provocato un cambio di estetica e di nomenclatura artistica notevole e che De Romanis ha saputo cogliere e interpretare con la solita audacia, con quel suo fare carico di speranze, desideri e volontà personali, contemplando, indagando, ammirando il mondo per dominare l’arte. Il suo linguaggio va oltre la logica, perché mediato da forme i cui nessi sono inaccessibili al pensiero cosciente, intuitivamente riconoscibili come arte significativa.
Questo ci serve per comprendere più intimamente una delle figure più straordinarie nel panorama pittorico italiano contemporaneo. Per il nostro Artista Alle origini delle cose è una maniera di conoscersi, di essere, è il filtro attraverso il quale la realtà viene letta, sublimata, interpretata. In queste opere si trova concretizzata la riduzione dello spazio prospettico, la scomparsa delle ombre: è il tentativo di un equilibrio figurativo rivolto alla costruzione volumetrica e architettonica, teso a riassorbire nel colore e nella luce tutte le relazioni spaziali. Gli strumenti di cui dispone sono l’enigma, la spettralità, l’ironia, il sogno, l’angoscia, la magia, dove il numero o l’interpretazione del numero, è tanto autosufficiente da sottrarsi persino alla funzione simbolica.
Il risultato della sua “visione interiore” è tutta in queste opere dedicate ai Numeri, è in una varietà di forme che si omogeneizza in un unico amalgama affrancato dalla sua fisicità, cosicché l’immagine reale viene ricreata sul quadro con una serie di valori, rapporti ed armonie propri: piani resi talvolta con colori brillanti, talvolta smorti, talvolta freddi nell’ombra in cui la “rappresentazione” è decisamente “mimesi” ma, al tempo stesso, pura “espressione” di creatività pittorica di un momento indefinibile e indefinito.
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