LA SCOMPARSA DI MAJORANA
A Teatro con Leonardo Sciascia
DAL 12 AL 14 APRILE 2024
Venerdì e Sabato ore 21,00 – Domenica ore 17,30
dall’omonimo romanzo di Leonardo
Sciascia
Trasposizione
teatrale e Regia Fabrizio Catalano
Con Loredana
Cannata, Alessio Caruso, Roberto Negri, Giada
Colonna
Scene e Costumi Katia
Titolo – Musiche Fabio Lombardi
Produzione Associazione
Culturale LAROS di Gino Caudai
In una stagione come quella che stiamo vivendo,
caratterizzata dallo sfaldamento dei valori morali, dall’esaltazione dell’ego,
dall’ansia del profitto e dalla deriva della scienza, è necessario rievocare
figure come quella di Ettore Majorana. Scomparso nel 1938, partito in nave da
Palermo ma apparentemente mai approdato a Napoli, il giovane e promettente
fisico siciliano, chiuso in se stesso e concentrato su studi di cui non parlava
con nessuno, aveva forse intuito prima d’ogni altro la strada per la creazione
di una devastante arma nucleare; e ne era rimasto atterrito, e aveva voluto
estraniarsi dal mondo prima che questo precipitasse nel baratro dell’era
atomica. Questa, almeno, è la tesi di fondo di uno dei maggiori autori del
‘900, Leonardo Sciascia, che allo scienziato e al suo dramma interiore ha
dedicato uno dei suoi libri più illuminanti: La scomparsa di Majorana. E questa
vuole essere la nostra convinzione – oggi, a ottant’anni di distanza dei
tragici eventi del ’38 e a trenta dalla morte dell’autore de Il giorno della
civetta – perché a volte, più che la laboriosa ricostruzione di eventi e
dettagli, conta il senso delle cose. E il senso della vicenda di Majorana è che
non c’è futuro per l’umanità senza l’etica, senza la sincerità, senza la
poesia. Questo spettacolo è un’indagine poliziesca, è un thriller ad
orologeria, è un sogno ad occhi aperti. Una notte d’agosto del 1945, una
località italiana che non viene mai definita, le rappresaglie dei partigiani,
il caos. Uno studio, in un ospedale di provincia; una donna che, dopo aver
ucciso da partigiana, è tornata a indossare il camice bianco: per medicare, per
guarire. Un uomo, avvolto in una tunica da certosino, che rifiuta di rivelare
la propria identità. Un commissario di pubblica sicurezza che crede di
riconoscere, nei tratti del monaco, quelli di Ettore Majorana, al quale invano
ha dato la caccia per tanto tempo. Laura Fermi, la moglie dell’illustre premio
Nobel, chiamata a identificare il giovane scienziato dileguatosi nel nulla.
Questi quattro personaggi, per tutta la notte, oltre l’alba, fino al tragico
scioglimento dell’enigma, daranno vita ad una sorta di processo: dove l’intruso
si trasformerà da imputato in accusatore, da inquisito in voce della coscienza.
Poco alla volta, emergeranno i tormenti di un genio che avrebbe potuto cambiare
il destino dell’umanità, e che invece ha preferito essere un ragazzo schivo,
per nulla competitivo o in cerca della gloria. Spesso isolato, con rarissimi
amici. Alcuni di questi, nella Germania che nel ’45 ha appena perso la guerra.
Ciò ha alimentato, nei decenni successivi, la detestabile ipotesi che Majorana
avesse simpatie naziste. Non le aveva – le sue lettere in proposito sono
abbastanza chiare – come non le aveva Heisenberg, che di Majorana era stato
mentore e guida nell’ambiente dell’Università di Lipsia, dove si discuteva di
fisica come di filosofia e dove Ettore era davvero a suo agio. Sì, perché
questa storia è anche la dimostrazione del fatto che non è così semplice
dividere il mondo in buoni e cattivi: e se Majorana fuggì di fronte all’orrore
della bomba atomica, Heisenberg, che pure avrebbe potuto fabbricarla per
Hitler, non spinse mai le sue ricerche fino alle estreme conseguenze. E questo
mentre altrove – negli Stati Uniti che avevano la missione di riscattare il
pianeta – Oppenheimer, Fermi e il gruppo del Progetto Manhattan, come sotto
ipnosi, schiavi dell’ambizione e incuranti delle vittime che la loro invenzione
avrebbe provocato, alacremente lavoravano all’arma di distruzione di massa, che
consegnarono agli alti comandi dell’esercito americano con tanto d’istruzioni
sulle città che avrebbero dovuto essere colpite! Insomma, per dirla con
Sciascia: si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati
che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e
furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di
libertà. In un contesto come quello attuale, il teatro deve diversificare la
propria offerta e accendere il dibattito, stimolare domande e riflessioni,
suggerire idee e punti di vista inediti. Deve calarsi nella realtà:
scandagliare il passato e contribuire a migliorare il futuro. Una storia vera
come quella di Majorana – il tormento struggente di un individuo che vorrebbe
salvare il pianeta dalla catastrofe – è al contempo un susseguirsi di emozioni
e un monito per l’avvenire. Ognuno di noi può compiere un piccolo gesto, per
proteggere l’umanità dall’autodistruzione. Ognuno di noi ha il diritto e
l’obbligo di farlo.
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