Sardegna, terra di alchimie teatrali all’ombra della civiltà nuragica
Al viandante distratto che si addentra per caso nelle zone più interne dell’Isola, ai vacanzieri ancora addormentati dopo le lunghe nottate in discoteca, agli amanti dei bagni di sole che sono soliti arrostire tra le rocce o tra le sabbie roventi, potrebbe sembrare soltanto un ammasso di pietre. Ma per noi sardi trapiantati nel continente, costretti nelle città caotiche e senza spazio, tra i rumori assordanti della metropoli e le automobili rombanti, un santuario nuragico situato sui pendii del Gennargentu, posto tra i silenzi degli altopiani granitici, ci sembra un miraggio, la memoria di quella spiritualità antica di cui erano pervase le genti di tremila anni fa. Mi pare di vederle muoversi lentamente tra quelle architetture suggestive, tra gli straordinari templi a megaron, a scolpire la perfezione delle pietre o a forgiare i metalli, vivendo in simbiosi con la natura, nella loro pratica religiosa incentrata sul culto dell’acqua. Tra la magia dell’Ogliastra e la misteriosa Barbagia, nel territorio di Villagrande Strisaili, la vallata di riu Pira ‘e Onni accoglie il Complesso archeologico s’Arcu ‘e is Forros, un luogo intricato e affascinante della civiltà nuragica, dove gestori del sito della cooperativa Archeonova, ci accolgono con i loro sorrisi, con la passione per questo lavoro, con la curiosità e l’allegria che li caratterizza.
Il villaggio-santuario, che sorge tra due torrenti in un precedente insediamento di capanne, a Sud del passo di Correboi, è costituito da un’area sacra e abitativa con tre templi, due isolati di capanne e, poco distante, un nuraghe trilobato. Tra grossi blocchi di granito locale, così compatti da consentire una buona conservazione dell’aria sacra e dei nuraghi, tra pietre di diversa forma e dimensioni, tra lo scisto che copre la parte alta dei templi, in quanto roccia morbida facilmente lavorabile, con importanti qualità di rifrazione della luce solare, emerge la grande maestria raggiunta nella lavorazione della pietra e dai resti di due forni vicini di forma circolare, usati per la fusione dei minerali di rame, piombo e ferro, possiamo affermare che il santuario era compreso in un abitato caratterizzato da una notevole attività artigianale metallurgica in grado di produrre tutti gli oggetti donati come offerte votive o usati nelle pratiche liturgiche condotte in questo luogo di culto.
Provate a immaginare se a tutto questo spettacolo se ne aggiunga un altro, come la connessione con la natura che pervade ogni angolo di questo luogo, la luce del tramonto che colora di sole le pietre lavorate, una nascente falce di luna che occhieggia dall’alto, e poi soprattutto un altro ancora, ossia uno spettacolo nello spettacolo.
E così è nata la rassegna storicamente organizzata da Il Crogiulo (sotto la Direzione Artistica di Rita Atzeri, anima della compagnia cagliaritana fondata da Mario Faticoni e di Iaia Forte, attrice intensa e amica di vecchia data del festival), ormai giunta alla XV edizione del NurArcheofestival prevista dal 17 al 31 luglio 2023 a Villagrande Strisaili – Aree Archeologiche S’arcu ‘e Is Forros e Sa Carcaredda; a Tortoli – Area Archeologica S’Ortali ‘e Su Monti ed Ex Blocchiera; ad Arbatax – Teatro a mare (Porto Frailis), tre luoghi suggestivi attraverso i quali far sposare il patrimonio storico e culturale dell’Isola con il teatro e altri eventi di spettacolo dal vivo in luoghi di grande interesse archeologico.
Tre cartelloni in uno, con un calendario più che mai ricco e serrato. In programma oltre venticinque spettacoli, comprese due anteprime nazionali e numerose prime regionali. In scena una parata di nomi di livello assoluto, tra i più importanti nel panorama teatrale italiano: Giorgina Pi, Maria Paiato, Anna Bonaiuto, Iaia Forte e Tommaso Ragno, Motus, Mario Perrotta, passando per Lucilla Giagnoni, Enrico Bonavera, Paolo Panaro, Stefano Sabelli o artisti internazionali come Andreja Rauch Podrzavnik e Christopher Benstead, solo per fare alcuni esempi.
Come afferma Rita Atzeri: «NurArcheofestival nasce dall’esigenza di indagare il rapporto del Teatro con lo spazio, con la natura, con la storia», sottolineando: «Sedici anni fa per farlo, per dare una dimostrazione che certi luoghi debbano essere agiti in modo che siano essi stessi a determinare lo spettacolo, abbiamo creato ‘Deinas’, il primo lavoro pensato dal Crogiuolo per un’area archeologica – allora si trattava del nuraghe Genna Maria di Villanovaforru – che coniugava miti orfici, tradizioni popolari della Sardegna, miti greci. Questa fusione di teatro, storia, archeologia, natura – perché i nuraghi sorgono immersi nelle bellezze del nostro paesaggio – ci ha restituito la sacralità del vivere e dell’agire nei luoghi della storia, ancor di più in quelli della preistoria. Lì nasce l’idea di dare corpo ad un progetto che sistematicamente consentisse di portare avanti questo campo d’indagine». La Atzeri ci spiega l’obiettivo del Festival: «Il nostro desiderio era e resta quello di promuovere la conoscenza di un patrimonio archeologico unico, facendo sì che questi luoghi – nuraghi, tombe dei giganti, menhir, domus de janas – non siano guardati fuggevolmente mentre si cammina in campagna o montagna, ma siano vissuti, compresi. Abbiamo sempre definito il NurArcheo un festival dal tempo lungo. Nell’area archeologica si arriva prima dell’inizio dello spettacolo, per una visita guidata al sito. Il modo di preservare il patrimonio non è trincerarlo, ma farlo conoscere, amare e vivere, in modo che ciascuno lo senta proprio e si senta parte di una storia più grande. Il dialogo con i luoghi è il tratto più caratterizzante del Nuracheofestival, gli allestimenti non sono mai invasivi, non vengono montate strutture che annullano il sito, per creare una falsa riproduzione di un palco teatrale. Siamo immersi nella natura, della quale cerchiamo di rispettare i tempi e valorizzare le suggestioni: salvo rare eccezioni motivate dalla drammaturgia dello spettacolo, si va in scena al tramonto con il cambio di luce».
NurArcheoFestival è organizzato da Il Crogiuolo, con il sostegno del MiC, dell’Assessorato della Cultura della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna con il seguente programma.
In prima nazionale giovedì 27 luglio al Santuario nuragico S’Arcu ‘e is forros, è andata in scena Musica per Camaleonti con Iaia Forte e Tommaso Ragno, interpreti poliedrici (teatro, cinema, tv) di eccezionale talento.
Un reading dedicato al genio dello scrittore americano Truman Capote, al suo stile letterario, con uno sguardo ironico e talvolta sarcastico verso il mondo, talora pietoso verso gli esseri umani. La parte di Capote era affidata all’ottimo Tommaso Ragno che come sapete dal 2004 è stato voce narrante a Radio Tre con Il ritratto di Dorian Gray, Dracula, Camera con vista, Frankenstein e altri classici della letteratura nel programma radiofonico Ad alta voce su Rai Radio 3. Un racconto tratto dal libro omonimo intitolato Una bellissima bambina, dove lo scrittore dialoga con Marilyn Monroe mentre si celebra il funerale di una sua famosa insegnante di recitazione. Iaia Forte interpretava la bionda Marilyn, con le sue facce e i suoi modi da bambina ingenua, gli occhi ammiccanti che trafiggevano lo spettatore nella luce violetta del tramonto.
Ma la cosa inaspettata è stata lo spettacolo di Lorenza Zambon che ha preso vita dopo l’uscita di scena di questi due grandi attori, quando la luce è scomparsa sotto la falce di una luna gibbosa crescente: Storie selvatiche (produzione La casa degli Alfieri).
Un personaggio davvero interessante, fuori dai canoni comuni, ma che è perfettamente inserito nel contesto ambientale del nostro sito archeologico.
Lorenza Zambon afferma infatti: «Ho una grande fortuna: le mie passioni e il mio lavoro sono la stessa cosa. Quel che faccio è teatro della “natura” (nella natura, con la natura?). Un teatro fuori dei teatri che parla del rapporto con le piante, i giardini, i paesaggi… insomma con il pianeta … il rapporto mio personale e quello della nostra specie. Mi definisco e voglio essere “attrice-giardiniera”, nel senso che per essere giardinieri non occorre avere un giardino, perché il giardino è il pianeta e tutti noi ci viviamo dentro».
La Zambon si definisce quindi attrice/giardiniera e collabora con la società di produzione e promozione teatrale Casa degli alfieri (allora ancora Teatro del Magopovero) dal 1981. È nata a Padova dove ha conseguito la laurea in scienze politiche con indirizzo sociologico e poi si è formata nel Centro Universitario Teatrale, quello “storico” Teatro Popolare di Ricerca diretto da Lorenza Rizzato, una delle prime formazioni sperimentali venete e punto di riferimento di tante generazioni di attori.
Affascinata dal potente “genio del luogo” che abita la collina della Casa degli Alfieri, i suoi spettacoli sono pensati per essere rappresentati in luoghi naturali come parchi, giardini, boschi, campagne oppure per portare frammenti di natura vivente all’interno di spazi non tradizionali.
La nostra attrice/giardiniera si è data un compito importante, quello di allargare la percezione per la riconnessione con il nostro pianeta vivente, creando «un nuovo e più responsabile pensiero/sentimento della natura, senza temere di spingersi verso la ricerca spirituale, in senso laico, che il contatto intimo e personale con “la natura” implica inevitabilmente».
Nella spettacolare location del Santuario nuragico S’Arcu ‘e is forros ha intrattenuto il pubblico con tre storie d’amore, di quelle che possono nascere in donne o uomini, sensibili al richiamo misterioso del “genius loci”. Si tratta di un amore superiore, connesso con la divinità del luogo, che attrae, suggestiona, cattura, esattamente come accade a chi visita questi “luoghi di potere” della Sardegna Nuragica.
Eppure la prima storia è ambientata in una discarica, perché anche una discarica può essere guardata da un altro punto di vista, può essere trasformata dalla forte alchimia dell’amore di una signora anziana, nella visione che il suo terzo occhio le concede grazie alla sua saggia età. Avete mai visto una casa diroccata, un rudere abbandonato da tempo, pieno di fratture e circondato da piante invasive, da terra arida e da sterpi bruciati dal sole? Un luogo che la maggior parte degli esseri umani non vorrebbe come dimora, ma un architetto appassionato può passare da lì e guardare ammirato alcuni dettagli di quella costruzione e vederne la bellezza, sapendo di possedere fantasia, creatività e strumenti tecnici per cesellare con il suo scalpello interiore l’opera d’arte che l’uomo aveva sbozzato.
Ed è proprio quello che capita alla protagonista di questa storia, Nonna Pupa, maestra di giardinaggio “estremo”, che in una specie di discarica incastrata in una frattura del paesaggio, scorge un potenziale giardino nascosto. Lei lo vede, è come una fata che scava nelle potenzialità di un luogo magico, con la sua bacchetta incantata della volontà, dell’immaginazione e della perseveranza e lo porta verso un’altra dimensione. E non si tratta del tempo istantaneo dell’incantesimo, ma del duro lavoro necessario per liberare la terra dall’ignoranza degli uomini, per restituirla alla sua naturale bellezza, arricchendola con piante e giochi vegetali, aprendo lo spazio alla forza della Natura per riprendersi quello che era suo, un miracolo che finisce per contaminare tutti gli abitanti del luogo che prima ne avevano trascurato le potenzialità. A volte basta una piccola azione, il risveglio di una sola anima per trascinarne tante altre in un progetto di recupero e risanamento. Risanando quel luogo, ricucendo le sue ferite, si risanano anche gli esseri umani che a quel posto sono connessi, si restituisce a loro un Bene Comune che non appartiene a nessuno ma che rappresenta la ricchezza di tutti.
Questo è anche il “focus” della seconda storia dove il protagonista talvolta non è un essere umano, ma un essere della natura: si tratta di un Lago che combatte contro lo sterminio del cemento armato, delle costruzioni aberranti di gente senza scrupoli, di distruttori patentati da una manica di burattini che gestiscono il potere.
È una storia vera, accaduta non in un posto sperduto della nostra penisola, ma nel cuore della Città Eterna. Oggi è noto come il lago ex SNIA – Viscosa, o lago Ex SNIA, chiamato anche lago Sandro Pertini o lago Bullicante, uno specchio d’acqua a Roma, alimentato dalle acque sorgive dell’antico fosso della Marranella. È un miracolo degli Anni Novanta avvenuto nella parte orientale dell’Urbe in una posizione incastrata tra il quartiere del Pigneto, Via Prenestina, Via di Portonaccio e il quartiere di Casal Bertone. Perché cerco di essere così precisa? Perché abitando a Roma, voglio che tutti i possibili lettori romani vengano informati di questa storia, della denuncia che l’arte della nostra attrice/giardiniera sta facendo ai cittadini, attraverso il suo urlo appassionato. Lorenza ci racconta i dettagli dell’imbroglio, di come si possano avere concessioni edilizie che cambiano il colore di una planimetria urbanistica, fa nomi e cognomi, ma la sua è una narrazione costruttiva che non ha l’obiettivo di punire il colpevole perché è la natura stessa che si ribella, giudice implacabile che rende il territorio al suo naturale proprietario. L’acqua scolpisce, modella, ruscella, perfora, distrugge, costruisce canali, connessioni tra rii, fiumi, mari, alimenta laghi. E così chi non si era reso conto che la località si chiama proprio “Acqua Bullicante”, chi voleva costruire a tutti i costi un mostro in cemento armato, viene vinto dall’ostinazione dell’acqua, dalla sua memoria antica che la conduce a invadere lo spazio e riprenderselo, per farlo tornare nel suo Giardino. Il mostro della storia è battuto e il popolo può ritornare nel suo angolo incantato, acclamando l’eroe della Fiaba. Lorenza ci trascina nella sua storia, ce la fa vivere da dentro, il pubblico è silenzioso, aspetta il finale col fiato sospeso.
E poi vogliamo interrompere così? No! Lorenza chiede al pubblico se vuole un’altra storia, ma il pubblico è smarrito, ancora stupito e incatenato, senza parole, forse riesce a comprendere che esiste un’altra “forma mentis”, che c’è sempre qualcosa che si può fare, anche quando sembra che il denaro, che l’arroganza dei potenti sia imbattibile, c’è sempre un David che può azionare la sua piccola fionda e abbattere il gigante Golia. E la fionda può essere Nonna Pupa, il Lago Bullicante o semplicemente le parole di Lorenza, che colpiscono lo spettatore e lo stordiscono, facendogli prendere coscienza di una forza superiore, quella del Bene di tutti che può sconfiggere l’ignoranza e l’arroganza di pochi.
E a volte può essere la forza di un rito collettivo a costruire equilibrio ed armonia, a trovare modo per risolvere ogni conflitto, ogni separazione e a unire intorno ad esso una comunità, un popolo, una serie di paesi, il mondo intero. É la terza storia, quella del falò, il quadro finale che Lorenza ci serve dalla fucina alchemica del suo calderone, che rimette tutto a posto, che rimescola gli elementi e li rende purificati. Ho detto molto, non voglio dire altro, la scena finale accende la fiamma interiore del risveglio. Ma vi siete accorti che siamo stati partecipi di un rito collettivo?
Grazie a Lorenza Zambon per averci trascinato dentro, grazie a Rita Atzeri per aver creato il Nurarcheofestival, grazie al sito che ci accolto nella sua vera magia.
Foto di copertina: Lorenza Zambon
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