LegenΔe di Piante. Il Castagno rubato
L'appuntamento di Novembre
In un boschetto di montagna umido e desolato vivevano due giovani Castagni della stessa età. Erano spuntati dalla terra negli stessi giorni, vivissimi germogli di due lucide castagne provenienti dallo stesso riccio. Erano cresciuti liberamente nutrendosi di torba del sottobosco. Avevano giocato fin da piccoli con gli stessi giochi, ascoltato i medesimi suoni, accolto uccelli e volatili, farfalle e insetti. Nel bosco erano gli amici che si tendevano la mano in ogni occasione. Affrontavano uniti ogni tempesta: pioggia, grandine e temporali, vento sferzante e sole cocente, tutti gli sconquassi a cui la natura sottopone sotto i cieli grigi d’inverno. Erano due piante alte e decise, con i rami protesi in avanti a cercare senza dubbio di farsi spazio nella vita. Potevano chiamarsi forse Pino e Gino, i due amici per la pelle.
Ogni inverno i loro rami spogli attendevano trepidanti il tepore della primavera per far riposare la corteccia dal freddo pungente e dai mali di stagione. A primavera i Castagni si risvegliavano alla vita e si riempivano di verde fogliame. Il loro fusto grosso e colonnare, diventava signore del bosco mostrando nella corteccia bruna, liscia, lucida, tutto il suo splendore. Le foglie s’accendevano di un bel verde, nella loro forma lanceolata e seghettata ai margini. A fine estate sulle piante nascevano fiori maschili e femminili, piccoli e riuniti in gruppi, dal colore biancastro. Ancora non avevano regalato al mondo i loro frutti che successe un fatto del tutto inatteso.
Un brutto giorno, sul far dei loro quindici anni, quando i boccioli dei fiori stavano per trasformarsi in tenere castagne, passò nel bosco il Mago Navastro con il suo corteo di gnomi ed elfi, femmine e pantere che gli scorrevano dietro senza un preciso senso. Il suo potere era noto in tutte le contrade, sapeva trasformare ogni animale e pianta in un altro essere che spesso diventava un oggetto morto. Una pantera del suo seguito notò uno dei Castagni e chiese al mago di portalo con sé. Sotto gli occhi atterriti del suo vicino compagno, il giovane Castagno sparì e nessuno seppe dove fosse andato. Pino rimase solo nel bosco, separato dal suo amico fraterno. Gino, invece, finì in un grandissimo giardino pieno di siepi, fiori, piante e un grande fracasso di gente. La tenuta era colma di pappagalli, tutti ripetevano i gesti e le frasi del Mago Navastro e nessuno dava pace alle povere piante. I fiori erano subito recisi per andare in dono a splendide femmine o a esigenti signore e ogni germoglio veniva continuamente riempito d’insetticida da un illustre giardiniere. Il Mago si beava dei suoi possedimenti e di tutta quella pletora di insetti e animali che lo circondavano, mentre Gino si sentiva solo e spaesato in mezzo a tutta quella calca di gente.
Un giorno si lagnò della sua condizione con un candido giglio cresciutogli accanto, lamentò la mancanza di serenità, di silenzio, d’aria pura e dei suoni del bosco. Il giglio accennò un sorriso senza accorgersi che uno gnomo presuntuoso, desideroso di mettersi in luce, lo spiava. Credendo di fare cosa gradita al Mago, gli riferì l’accaduto. Ci fu un boato spaventoso, la rabbia ribollì sul capo pelato di Navastro e una saetta portentosa s’abbatté sulla chioma di Gino trasformandone il tronco in pietra e in cenere la sua capigliatura. A Gino non rimase che piangere lacrime amare, per il dolore, per lo spavento, perché gli era stato tolto il respiro. Tutte le altre piante del giardino stettero in silenzio e i pappagalli applaudirono l’operato del Mago. Alle piante là intorno vennero stroncati i rami, bruciate le foglie e strappati tutti i fiori soltanto per ribadire a tutti il potere del capo. Il prato fu riempito di cicche e di spazzatura e i fiori che non furono tagliati senza pietà dovettero umilmente reclinare la testa.
Nel frattempo Pino si chiedeva come trovare l’amico rubato e tanto s’agitò e pregò che impietosì un’anziana signora della montagna: la Fata Giallina. Era una vecchietta piccola e magra, con i capelli gialli come il sole e gli occhi rossi del tramonto. Giallina prese un ramoscello di Castagno e lo scosse nell’aria. Una moltitudine di fili argentati ricoprì il nostro Pino che acquisì il potere di vedere dove fosse Gino. A guardarlo nel suo aspetto pietrificato dal Mago crudele, le lacrime sgorgarono dalla sua corteccia. Era autunno e le prime castagne erano cresciute dentro pungenti ricci. La Fata gliele chiese in dono per sfamare i cortigiani del Mago. Con il ramoscello magico moltiplicò le castagne e ne riempì un intero carro, ci mise dentro un potente narcotico e lo spedì verso la casa del Mago. Navastro e tutta la sua cerchia gozzovigliarono per sette giorni e sette notti, abbuffandosi di vino e cibo. Alla fine furono tutti presi da un sonno poderoso. Così la Fata Giallina poté correre nel giardino del male, trasformare Gino di nuovo in Castagno, stavolta carico di frutti, sradicarlo da quel prato immondo e riportarlo nel grazioso boschetto.
Non immaginate con quale contentezza Pino e le altre piante del bosco accolsero il compagno disperso. Gino narrò per filo e per segno la sua assurda avventura e benedisse la terra che di nuovo avvolgeva le sue radici. Quell’anno il raccolto di castagne fu fenomenale, per quantità e qualità, forse anche grazie alla Fata Giallina che prese a cuore la sorte dei Castagni. I rami carichi di ricci sospinti a terra dal forte peso, s’appoggiavano al manto di foglie ricoprente la terra rigogliosa. Le piogge furono abbondanti ma non sferzanti, non ci fu grandine e nemmeno neve. Le castagne furono diamanti brillanti affacciate dall’anima dei ricci o cosparse su un letto di foglie. Gli uccelli cantarono lieti e tutti gli animali del bosco furono più vivi che mai. Gli scoiattoli corsero tra i rami in preda a una naturale frenesia, le talpe si affacciarono dal terreno e sorrisero spensierate, le volpi scorrazzarono voraci e fameliche nutrendosi di cibo abbondante. Fu una bella soddisfazione per i Castagni regalare il pane a tutti gli animali del bosco.
Se un Castagno perdesse il boschetto
e non vivesse in un mondo perfetto
rimpiangerebbe senz’altro l’ambiente
con le sue foglie il suo tronco e la mente.
e non vivesse in un mondo perfetto
rimpiangerebbe senz’altro l’ambiente
con le sue foglie il suo tronco e la mente.
Anche una pianta pietrificata
può intenerire il cuor d’una Fata
e se a Giallina regala i suoi frutti
poi le castagne ci sono per tutti.
può intenerire il cuor d’una Fata
e se a Giallina regala i suoi frutti
poi le castagne ci sono per tutti.
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